
Seduta su una pietra, fuori dalla nostra tenda, guardo in silenzio i bambini che giocano.
Alcuni fanno a gara a chi è più veloce, usando due tricicli impolverati; altri, i più tranquilli, disegnano con le dita sulla terra; due o tre bambine saltano la corda mentre cantano una filastrocca un po' in arabo e un po' in francese.
Mi avvicino.
Sono stati giorni impegnativi e passare del tempo con i più piccoli mi aiuta a ritrovare le energie e a sorridere.
A. mi vede, mi fa una linguaccia, corre verso di me e mi dice "tayyara!", "aereo", vuole che lo prenda sulle spalle, come ormai è diventata un'abitudine.
Non appena iniziamo a correre per il campo, facendo finta di volare, urla una sola parola: Siria.