Operazione Colomba – report mensile delle attività in Albania – settembre 2018

Situazione attuale

Settembre si è aperto con una notizia tragica: un quindicenne ha accoltellato e ucciso un ragazzino di un anno più piccolo, a causa di una lite nata durante una partita di calcio. I giornali hanno poi riportato che il padre del giovane omicida ha spinto il figlio a questo gesto, dicendogli: “Se non lo fai, non sei un uomo!”. Inoltre, il 6 settembre un uomo è stato ucciso per vendetta. La vittima aveva ferito nel 2012 un altro individuo e l’omicidio è stato compiuto come forma di ritorsione per il danno precedentemente causato. Peraltro, la vittima era appena tornata dall’estero, dove aveva cercato asilo in quanto temeva di subire la vendetta, ma si era visto rifiutare la richiesta. Come per un caso simile avvenuto ad aprile, abbiamo stilato un appello e lo abbiamo inviato alle istituzioni locali e internazionali presenti in Albania, con la speranza che vengano prese le adeguate misure per garantire l’effettiva protezione delle persone coinvolte nel fenomeno della vendetta di sangue. In tutto il mese, abbiamo, infine, registrato diversi casi di ferimenti e omicidi legati a dispute sulla proprietà.

Condivisione, lavoro e novità sui volontari

Gli ultimi scampoli d’estate ci hanno permesso di accompagnare al mare una donna coi suoi tre figli. Suo marito è in carcere per omicidio e la famiglia vive in gravi difficoltà economiche, mantenendo però una dignità che per noi è sempre da esempio e ispirazione. Regalare loro una giornata di spensieratezza è uno dei motivi per cui siamo qui.
A fine mese abbiamo avuto l’onore di ospitare una donna che ha intrapreso un percorso molto profondo di rielaborazione del lutto per la perdita della figlia, avvenuta tre anni fa. Grazie alla sua presenza, abbiamo organizzato un incontro con le donne delle famiglie in vendetta, che è stato preceduto da numerose visite a domicilio per invitarle all’evento. Durante questo momento, la nostra ospite ha condiviso il suo vissuto personale e ha toccato corde molto intime in ognuna delle partecipanti per “far sì”, secondo le sue parole, “che le lacrime non raccontino di dolore e morte, ma del grande amore che una mamma ha per un figlio, anche quando non c’è più”. Questo tipo di intervento sostiene i percorsi di giustizia riparativa, poiché aiuta le vittime del fenomeno nella rielaborazione del lutto e del conflitto, promuovendo l’uso dell’alternative dispute resolution. Se i membri delle famiglie in vendetta riescono a riconciliarsi con le proprie ferite emotive, il livello di empatia nei confronti della controparte può aumentare e, di conseguenza, il processo di mediazione viene facilitato. Con  questo scopo è stata anche realizzata una visita a casa di una madre che ha perso la figlia per vendetta, per aiutarla nel suo processo di superamento del trauma. 

Istituzioni e società civile

A inizio mese abbiamo partecipato a un incontro organizzato da “Save the Children”, con l’obiettivo di mettere in contatto le associazioni che ricevono il suo sostegno per attività legate a favorire l’accesso alla giustizia da parte di gruppi vulnerabili. A fine mese abbiamo incontrato un imam di Scutari, che lavora per il superamento del fenomeno delle vendette di sangue, allo scopo di ottenere informazioni su una famiglia musulmana coinvolta in una faida. I rappresentanti religiosi spesso hanno un contatto diretto con le famiglie in vendetta e, quindi, la loro collaborazione è preziosa per svolgere un lavoro efficace.

Con il contributo di UE – Save the Children – Cilsp.