Tornare in Albania

Temevo che tornare in Albania avesse il sapore nostalgico del fuori sincrono, fuori tempo, fuori fuoco. Invece significa riconoscere i luoghi, i profumi, le ombre dei palazzi e le buche per la strada. Il ponte di Bahcallek con la tekke bektashi verde acqua ci danno il benvenuto, sotto lo sguardo del castello Rozafa. L’imponente cattedrale cattolica e la moschea bianca circondata dal verde sono sempre a guardia dei due capi della zona pedonale di Scutari.
Non c’era percorso per andare a trovare le famiglie che avevamo conosciuto, che avessimo dimenticato: dove abitavano, com’era il cancello di ingresso, che cosa piantavano di solito nell’orto a primavera. Sono passati quasi quattro anni e ci sembrava di averli salutati il giorno prima.

Questa settimana ogni volta che abbiamo varcato la soglia delle loro case è stata una festa, una vera festa: abbracci, tavole imbandite, molta commozione. I ragazzini di prima sono uomini e donne, i bambini ora progettano il loro futuro. Qualcuno si è sposato, qualcuno è partito per fare fortuna, nessuno ha dato seguito alla vendetta che affliggeva la propria famiglia. Io mi sono presentata con mia figlia, che – bambina di città – sgranava gli occhi davanti alle galline in giardino e alle mucche per la strada, entusiasta di poter scorrazzare molto più libera che a casa, dando sostanza al suo terzo nome Lirië. È stata circondata dalle attenzioni di tutti quei ragazzini che, solo qualche anno fa, giocavano a carte con me per ingannare il tempo davanti al carcere o in ospedale.
In questi giorni ci siamo abbracciati molto, abbiamo scattato mille foto, ci siamo raccontati la vita, gli anni della pandemia, i sacrifici per rimanere a galla.
Ci siamo seduti in cucine nuove di zecca, comprate dai figli all’estero, ci siamo complimentati per il nuovo lavoro di una signora, esempio di indipendenza per le sue figlie. Abbiamo anche condiviso il dolore per un figlio perso prima di venire al mondo, un dolore profondo, che lacera la felicità che i suoi genitori avevano conquistato a fatica. Abbiamo ammirato la fede d’oro all’anulare di una signora, che, vedova, aveva venduto la sua per la sopravvivenza dei suoi tre ragazzi; il figlio emigrato, che lavora sodo per ripagare la mamma di tutti i sacrifici, gliel’ha ricomprata.
Abbiamo riguardato gli album di famiglia, in cui compaiono anche i volti dei volontari di Operazione Colomba, che hanno accompagnato per un decennio queste famiglie. Ogni persona incontrata ha chiesto come stesse questo o quel volontario, ricordando episodi divertenti, gaffes involontarie, momenti difficili e tutto l’affetto ricevuto.
Tornare a casa con la mia bambina in braccio ha il sapore della pienezza, della dolcezza, della gratitudine.

Sara

Articolo pubblicato sul sito di Operazione Colomba nella sezione che contiene tutti gli articoli riguardanti la presenza in Albania.