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FATIMA. “Quando Daesh (ISIS) ha occupato le nostre terre, inizialmente eravamo sollevati perchè finalmente avevamo cibo e risorse. Poi ci hanno tolto ogni libertà e la serenità è di nuovo sparita. Noi donne eravamo costrette a indossare il velo integrale (burqa') che di tutto il corpo lascia scoperti solo gli occhi, non potevamo girare da sole per strada. Io lavoravo nei campi, dalla mattina fino a sera. Un giorno per strappare un'erbaccia robusta, ho tolto i guanti: per punire questo gesto, i militare di Daesh hanno fustigato mio marito. Quando siamo scappati, appena siamo riusciti a superare l'ingresso di Der al-Zour, la mia città ho tolto il burqa' e l'ho gettato per terra.” / “Poco prima di Qobayat, paesino cristiano a nord del Libano, nella strada principale che lo collega a Tripoli, c'è un punto in cui si vede la Siria. È un punto preciso, svoltata una curva, in una strada in salita. Da lì, si vedono monti e distese di verde, qualche albero. Niente di più. Solo qualche chilometro e si è dall'altro lato. Il paesaggio è continuato, Qobayat è attorniato da monti ed in primavera si riempie di colori e campi coltivati, e allo stesso modo questa parte della Siria, poco più in là. È difficile calcolare in che punto finisce la Siria e inizia il Libano, la linea si può solo immaginare. Poi la vista si interrompe con i monti e l'orizzonte che si fa sfocato. Da questo punto la vista è confusa, si vedono distese uniformi e colori e basta, ciò che c'è, nel particolare, è lasciato all'immaginazione. Se ci si attiene ai racconti della gente che viveva in Siria prima della guerra, che si aggrappa al ricordo di quella terra come era una volta, oltre quella linea ci sono campi coltivati, gelato artigianale, il suq (il mercato) colorato e profumato, animali, il lago e le gite per andare a pescare, monti. Si può pensare una vita normale, oltre quei monti, familiare, agricola, quotidiana. Ci si può ancora vantare della bellezza culturale ed artistica del Paese, pensare a tradizioni e feste nazionali come a dei momenti divertenti, pieni di cose, di sentimento. Visto da qui, si può pensare che lo scenario delle bombe, con le macerie, le torture, la guerra, non facciano parte di questo panorama. Che oltre questa linea, questi monti, magari ci sia ancora verde e altri campi, e normalità. Da qui la guerra non si vede. Basterebbe avvicinarsi di qualche chilometro per scorgere il fumo che le bombe si lasciano dietro quando cadono, le scie degli aerei nei cieli, gli accampamenti di tende di plastica in cui famiglie intere cercano di sopravvivere in qualche modo, e poi tantissima polvere. E macerie. Ma io sono qui, da questo lato, nella parte del confine che si salva”. (Miniara, Akkar, Libano). / Fotografia di Luca Cilloni