L'Uomo inchiodato, la Donna incatenata

Tesi di Laura Collina
Albania

Proponiamo la tesi di Laura Collina, volontaria di Operazione Colomba in Albania che si è Laureata alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Bologna, Corso di laurea in Sviluppo e Cooperazione Internazionale.
La tesi indaga il fenomeno delle vendette di sangue in Albania.
Nella seconda parte si analizza in particolare il peso che questo fenomeno ha sulle donne, vittime di un maschilismo diffuso e insito nel Kanun.

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PREMESSA

Da oltre due anni sono impegnata in un progetto di Operazione Colomba (Comunità Papa Giovanni XXIII) nel Nord dell’Albania.

Le attività di Operazione Colomba nascono dall’esperienza maturata in Italia dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata nel 1968 da Don Oreste Benzi e sono pertanto caratterizzate dalla condivisione diretta con i più poveri e vulnerabili nelle diverse realtà di vita, con l’intento da un lato di alleviare le sofferenze nel breve periodo e dall’altro di rimuovere le cause che provocano tale emarginazione e tale ingiustizia.

Operazione Colomba1, il Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione
Ai progetti per l’autosviluppo ed all’assistenza alle fasce più deboli della popolazione, si aggiungono gli interventi di riconciliazione, realizzati con modalità nonviolente, in zone di conflitto o post-conflitto (Albania, Colombia e Palestina) e le attività di sostegno a gruppi che si occupano di promozione dei diritti umani (Albania, Colombia, Israele, Palestina e Kossovo).

La Comunità Papa Giovanni XXIII è presente nel Nord dell’Albania dal 1999 con una presenza di Operazione Colomba all’interno del campo profughi che dal Kosovo si rifugiavano in quella zona.
A partire dal 2000 la presenza si è fatta più stabile grazie ad alcune membri di Comunità che hanno aperto una casa famiglia a Krajen. Nel corso degli anni la Comunità si ingrandisce fino ad arrivare a oggi con una presenza di tre Case Famiglia, due Pronte Accoglienza (una per donne e l’altra per uomini con problemi psichiatrici), la Capanna di Betlemme e Operazione Colomba.

L’inserimento nel territorio e la condivisione con la gente ha portato alla conoscenza del fenomeno delle Vendette di Sangue legato al Codice del Kanun.
A fronte di questa situazione Simone Mori2,  nel 2004, ha cominciato a interessarsi più da vicino del fenomeno andando a trovare le famiglie sotto vendetta (cioè quelle che avevano appena ucciso qualcuno e aspettavano la vendetta della famiglia rivale) e cercando il modo migliore per fare qualcosa. Nel corso degli anni il Progetto è diventato via via più strutturato con un numero di famiglie sempre più consistente grazie all’aiuto dei vari volontari e dei Caschi Bianchi3 e del contatto con alcuni Bajraktar che hanno introdotto Simone nelle varie famiglie. In vista di una progettazione più metodica e strutturata Simone si rivolge al Corpo Civile di Pace della Comunità, l’Operazione Colomba con la consapevolezza che il fenomeno delle vendette di sangue nel Nord dell’Albania è un problema sottovalutato, grave e più che mai presente.   
Il fenomeno del Kanun coinvolge circa il 10% della popolazione albanese del Nord. Non è un conflitto aperto ma molto latente e silenzioso.  
Da ormai sei anni Simone Mori supporta le famiglie sotto vendetta nell’area di Shkoder e Lëzhë. La condivisione e il sostegno a queste famiglie, in un primo momento,  si sono sviluppati principalmente con aiuti di tipo medico e scolastico. Viene pagata una dottoressa che visita i membri delle famiglie chiuse che, non potendo uscire di casa, non si possono permettere di acquistare i medicinali e di pagare le cure mediche. Inoltre è stata approfondita una collaborazione con gli Ambasciatori di Pace, (Associazione fondata da don Antonio Sciarra nel 2004) che si occupa di scolarizzazione: molti bambini e ragazzi sotto vendetta non possono andare a scuola per paura di venire uccisi così vengono pagati dei maestri che garantiscono assistenza scolastica fino alla classe IX (che equivale alla III media italiana) cioè alla scuola dell’obbligo.
Inoltre alcune famiglie hanno chiesto assistenza a Simone per aiutarli a riconciliarsi con le famiglie rivali.  Oggi, purtroppo, molti Bajraktar si fanno pagare migliaia di Euro per mediare tra le famiglie in vendetta. Le famiglie, però, non possono permettersi queste spese senza neanche sapere se la riconciliazione andrà a buon fine. Avendo sviluppato un alto rapporto di stima e fiducia con Simone, le famiglie sotto vendetta hanno chiesto proprio a lui di essere il mediatore tra loro e le famiglie che hanno emesso vendetta.

Dopo varie visite di conoscenza del fenomeno e del lavoro della Comunità, nel marzo 2010 è stata aperta la presenza di Operazione Colomba a Shkoder. Operazione Colomba si è inserita nel lavoro già avviato da Simone.
L'obiettivo è la creazione di rapporti di fiducia che possano permettere all'equipe di Operazione Colomba di fare una proposta di riconciliazione oppure essere elementi catalizzatori e facilitatori della stessa. Parallelamente si dovrebbe acquisire una conoscenza più ampia del fenomeno dal punto di vista antropologico e sociologico attraverso un lavoro di ricerca anche attraverso la collaborazione con altre Associazioni. Il riassunto di tutte e due le esperienze dovrebbe portare alla creazione di una proposta di riconciliazione nazionale.
Per acquistare fiducia e creare un rapporto stabile con le famiglie si è cercato, in un primo momento, di rispondere ai bisogni primari e alle urgenze delle famiglie sotto vendetta come la scolarizzazione a domicilio, le cure sanitarie gratuite e gli accompagnamenti in ospedale e in casi di emergenza anche alla distribuzione di cibo e vestiario per i nuclei familiari più poveri.
Inoltre si cerca di focalizzarsi sui giovani a cui vengono proposte diverse attività (corso di computer, di fotografia, di teatro) per permettere loro di esternare le loro emozioni e sentimenti in modi alternativi alle parole. Inoltre si è cercato di coinvolgere i giovani con il fine di avviare un gruppo di lavoro per riflettere e rielaborare insieme le dinamiche relative al fenomeno delle vendette di sangue.

Allo stato attuale il lavoro si può suddividere in  dieci aree di impegno operativo:

1. Monitoraggio e raccolta dati delle famiglie sotto vendetta. Nell’area di Scutari e nelle località limitrofe si conoscono circa 30 famiglie sotto vendetta. Il compito dei volontari è quello di conoscerle tutte, di raccogliere un maggior numero possibile di dati riguardanti la storia della vendetta, i tentativi di riconciliazione, il grado di pericolosità e rischio di venire uccisi e di minaccia, eventuali bisogni legati alla situazione di auto reclusione.
In particolare ci si focalizza sull’instaurazione di un buon rapporto con i giovani e le donne che rispettivamente sono i cardini del futuro e della famiglia.                                             

Monitoraggio nella zona di Tropoja dove il fenomeno del Kanun ha la sua origine (infatti la quasi totalità delle famiglie con cui siamo in contatto a Scutari provengono dall’area di Tropoja e dal Dukagjini).

2. Conoscenza delle famiglie che hanno emesso vendetta. A partire dal rapporto instaurato con alcune famiglie in auto reclusione è nata la richiesta di iniziare un lavoro di mediazione e di conoscenza con le famiglie che hanno emesso vendetta cioè quelle che hanno appena perso un proprio parente.

3. Approfondimento della conoscenza con le famiglie che hanno riconciliato. Le famiglie che hanno scelto la via della riconciliazione possono essere testimonianza ed esempio per chi vuole vendicarsi.

4. Cure mediche domiciliari, rifornimento di medicinali e accompagnamenti in ospedale di chi è auto recluso.

5. Corsi ludico formativi per giovani.

6. Lavoro di coordinamento con altre Associazioni presenti nel territorio di Scutari che lavorano direttamente o indirettamente sul problema delle vendette. Si cerca di creare una linea comune e fare delle proposte anche a livello legislativo.

7. Lavoro di sensibilizzazione e di denuncia sociale del problema delle vendette attraverso un’azione fatta in collaborazione con altre Associazioni. Lo Stato minimizza e ignora la piaga sociale delle vendette. Attraverso una campagna pubblica che raggiunga il maggior numero di persone si vuole scuotere le coscienze e far capire che questo fenomeno è un problema di tutti, che va sradicato alla radice.
Una volta al mese viene organizzata una manifestazione silenziosa contro le vendette di sangue. Viene fatta in centro dove è possibile essere notati da più persone possibile, in silenzio per rispetto per la famiglia della vittima e dell’omicida, di disorientamento davanti a questo fenomeno antico ma ancora oggi vivo più che mai, di paura verso il futuro; in silenzio per provocare davanti a questo caos, a questa anarchia omicida vogliamo “urlare” il nostro silenzio; in silenzio anche per riflettere, per fermarci e pensare, per ricordare le vittime, per farci domande e cercare risposte nuove, innovative. Ci chiediamo se l’onore offeso valga più della vita di un uomo. Che valore ha la nostra vita? E quella dei nostri cari? Non abbiamo le risposte preconfezionate. Vorremmo, almeno, che le persone si pongano delle domande e non diano tutto per scontato.

8. Lavoro sul dolore. Accompagnare e sostenere psicologicamente le famiglie coinvolte nelle faide in un percorso per uscire dal dolore e dalla rabbia di aver perso qualche familiare perché in carcere o perché rimasto ucciso. Il rimanere accanto alle vittime significa condividere con loro la disperazione, la sofferenza e l’odio ma anche la speranza di riuscire a vivere in modo migliore attraverso il perdono e la riconciliazione con il cosiddetto nemico.  
Le persone che incontriamo sono profondamente segnate dal dolore, fiere, incollerite e rassegnate. Entriamo in un mondo difficile da capire e da penetrare. Lo scoglio più insormontabile è l’arrendevolezza con cui le persone in vendetta accettano la loro situazione. Far ritrovare in loro la speranza in un futuro senza odio e violenza, farli uscire da quel labirinto buio da cui credono di non riuscire più ad uscire è il compito di Operazione Colomba.
Inizialmente, nel periodo in cui si conosce la famiglia, si cerca di farci conoscere come Associazione e di proporre loro qualche attività (soprattutto ai giovani) concreta. Attraverso la condivisione diretta si cerca di essere partecipi quanto più possibile della loro condizione.

9. Gruppo di donne coinvolte dalle vendette. Come verrà meglio spiegato nel corso della tesi, le donne sono le figure che maggiormente vengono colpite dal fenomeno delle vendette di sangue. Ci proponiamo di offrire loro un tempo e uno spazio collettivo in cui possono raccontarsi, confrontarsi, svagarsi,… E’ un’occasione di incontro con altre signore nella loro situazione, con donne di altri Paesi che raccontano la loro esperienza di vita, con loro stesse e le speranze che nutrono nel futuro.
Lavorando principalmente a Nord dell’Albania, nell’area di Shkoder e Tropoja, si è notato che luogo geografico e contesto culturale sono strettamente correlati. Spostandoci più a Sud il fenomeno delle vendette di sangue non esiste più e la figura femminile è più emancipata. Il fatto che il Nord dell’Albania abbia un territorio montuoso e arduo da penetrare  ha portato a scelte politiche si non investimento in quell’area lasciandola ancor più isolata e  arretrata. In questo territorio mancano le infrastrutture, i trasporti, durante l’inverno le strade sono inagibili e anche la comunicazione televisiva e telematica non è sempre garantita a causa della mancanza di corrente elettrica per lunghi periodi di tempo. Questa zona è sconosciuta alla maggior parte degli albanesi meridionali che non hanno mai messo piede a Tropoja anche a causa dei pregiudizi sui suoi abitanti.
L’isolamento geografico porta all’isolamento culturale. È infatti a causa di questo emarginazione che in quest’area sopravvive il Kanun: non arrivando il potere statale a alcuna influenza dal resto del Paese, i montanari tengono vivo il Codice che regolava la vita a partire dal Medioevo. Le prime figure che subiscono le norme kanunarie sono le donne. Il modello familiare del Kaunun è basato sulla figura del capofamiglia che ha potere di vita e di morte sui membri del suo nucleo familiare.
Ma, andando oltre le apparenze, ci si accorge che i veri pilastri familiari sono le donne: madri, mogli, sorelle.
Questo lavoro vuole descrivere il ruolo che ha la donna all’interno delle famiglie coinvolte nelle vendette di sangue e nel Kanun e di come la figura femminile influenza il perpetuare delle faide o cercano di scavalcare le ritorsioni. Inoltre si cercherà di dare uno sguardo all’influenza che ha  la donna davanti al proponimento dei valori del Kanun  e di come esso è in grado di tenere vive tradizioni e modi di vivere arcaici.

L’ arrendevolezza società albanese davanti al fenomeno delle vendette di sangue, come Associazione, ci proponiamo di essere vorremmo essere “ una goccia d'acqua che riesce a scavare anche la roccia”.
Mi torna in mente la canzone di Guccini su Don Chisciotte quando questo “folle” cavaliere si tuffa nelle sue “mission impossibile” con la sola certezza del cuore puro. Mi sento spesso Don Chisciotte qua. Forse lotto più contro l’indifferenza e l’accettazione incondizionata della realtà da parte della gente che contro l’ingiustizia delle vendette di sangue e le morti che ne conseguono. A volte provo a guardarmi con gli occhi delle persone comuni e mi dico: “Sei proprio matta!”. Canticchio la domanda retorica di Sancho Panza: “Riusciremo noi da soli a riportare la giustizia?” la risposta, se la si discute a tavolino, è abbastanza ovvia: no. Non voglio essere definita come testarda e idealista perché non lo sono. Se sono in Albania con Operazione Colomba è proprio perché sono una persona concreta e realista. E comunque essere realisti non vuol dire che si accetta la realtà così com’è. Ciò che mi ha spinta qua in Albania, e alla Colomba in generale, è quello “slancio generoso, fosse anche un sogno matto”; è la consapevolezza che sono le persone, dal basso, che possono creare qualcosa di nuovo, possono trasformare la realtà.
Non voglio “salvare il mondo intero” ma, come si chiede Don Chisciotte: “Perché mai dovrei tirarmi indietro perché il male e il potere hanno un aspetto così tetro? Dovrei anche rinunciare a un po’ di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?”
E allora parto proprio facendo leva su quella che sono: una donna. Testarda, premurosa, comprensiva, rancorosa, intransigente, solare. Sono le donne le vere protagoniste della società albanese, sono loro le radici, le fondamenta della famiglia. Vorrei tanto farglielo capire. Provo attraverso un mini-corso di cucina insegnando loro a preparare la pizza: da qualche piccolo ingrediente, in apparenza insipido o troppo salato, può trasformarsi in una ricetta unica e nutriente. Queste donne si sentono insignificanti come quella punta di sale che si mette nel pane ma se si rendessero conto che sono anche lievito, olio, acqua e se iniziassero a usare davvero tutta la loro forza per impastarsi, l’Albania avrebbe davanti a sé tutto un altro scenario di futuro.