Questa sera guardo le stelle da Quseyr, dal tetto della casa che abbiamo preso in affitto in questo piccolo paese siriano a sud-est di Homs.
Non è una vacanza, sicuramente non è turismo, non siamo propriamente cooperanti, non abbiamo un ufficio - e non ne vogliamo uno - ci spostiamo con i mezzi pubblici e parliamo dialetto levantino senza aver mai studiato l’arabo standard, quello ufficiale.

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Nella storia di Operazione Colomba molte volte ci siamo trovati ad accompagnare persone che si sentivano in pericolo a spostarsi da un posto all’altro.
Tutt’ora, i volontari e le volontarie portano avanti questa azione di accompagnamento nei vari Paesi in cui operano: non abbiamo armi ma con la nostra presenza internazionale, riusciamo a creare protezione per queste persone che viaggiano più sicure e tranquille sapendoci al loro fianco.
In Libano molti siriani, qui profughi da diversi anni, hanno deciso di ritornare in Siria, ma altri preferiscono aspettare, molte case sono distrutte, quelle ancora in piedi sono state completamente svuotate, non hanno porte, né finestre.
Per quanto precaria, la vita in Libano per molti è considerata ancora un’opzione obbligata.
B. ad esempio vive da quasi 10 anni in questo Paese, così vicino eppure così estraneo dal suo; vive, riesce a sopravvivere con gli aiuti dell’UNHCR e il lavoro saltuario.

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Sembra che faremo questo viaggio, sembra che sia tutto organizzato, sembra che ci faranno passare la frontiera tra Libano e Siria… sembra.
Ma io ancora non ci credo.
E quindi mi concentro su ogni attimo presente, senza aspettative, solo sul qui e ora.
Poi però arriviamo davvero alla frontiera e veramente dopo poco siamo su un’auto che viaggia a velocità sostenuta in territorio siriano, sulla strada che arriva a Damasco.
Inizio a realizzare che siamo davvero entrati, comincio a commuovermi, mi mancano le parole.
Ma la potenza di quel che sta accadendo mi travolge quando arriviamo in un quartiere periferico dell’affascinante capitale siriana, e dal balcone ci guarda, ci saluta e ci corre poi incontro la nostra amica siriana.
In quell’abbraccio scoppiamo a piangere: siamo davvero qui insieme, nella tua Siria, nella vostra Siria, che tanto vi è mancata e tuttora manca a tantissime compagne e compagni di strada, una strada per me, che sono straniera, lunga 10 anni.
“Non ci credo, non ci credo, stiamo sognando? Dammi un pizzico, pizzicami che forse mi sveglio”. Ce lo ripetiamo il primo giorno e questa frase ci accompagnerà per tutta la settimana, tanta è l’incredulità che davvero a parole è molto difficile da consegnare.
Lei è da due giorni a Damasco, è stata qui per una conferenza sulla giustizia di transizione in Siria, ma non metteva piede nella sua terra da 13 lunghi anni.

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Come volontari e volontarie di Operazione Colomba, accanto al popolo siriano dal 2013, non abbiamo potuto esimerci dal partecipare all’euforia scaturita dalla sorprendente caduta del regime degli Assad in Siria. Un regime durato 53 anni e che ha attanagliato le vite di tre generazioni di Siriani.
In questi giorni cruciali che investono questo Paese, cuore e ponte tra il Mediterraneo Orientale e la Mesopotamia, riecheggiano le storie di dolore, disperazione, rabbia ma anche resistenza, tenacia, pazienza che abbiamo incontrato soprattutto in Libano ma anche in Siria, Turchia, Grecia, Germania, Francia e Italia.
Il nostro pensiero va a questo popolo che abbiamo scelto di incontrare e che ha preso vita nelle persone che ci hanno accolto e ci hanno affidato la loro storia proprio mentre la stavano ancora vivendo sulla propria pelle.
A chi ci ha confidato “Purtroppo la vita ci ha riservato questa sorte, vogliamo solo un futuro per i nostri figli” consapevoli di essere stati travolti dagli eventi che li hanno spinti a vivere da rifugiati.
A M., giovane di Homs sfiancato da quasi 10 anni vissuti da profugo in Libano, che ha deciso di tornare in Siria ed è stato arruolato forzatamente, salvo poi scappare al momento della caduta del regime e tornare a casa dalla famiglia.

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In questa situazione di particolare emergenza, Operazione Colomba ha deciso di sostenere le attività dell’Associazione Shining in Peace, che dal 2011 opera in Akkar, a nord di Tripoli, grazie ad un team composto da operatori di diverse nazionalità.

Attualmente l’Associazione si sta facendo carico della preparazione di pasti caldi, distribuiti ogni giorno a chi ne ha necessità: persone sfollate arrivate da poche settimane (siriani e libanesi) e siriani che da tempo vivono nei campi profughi della zona. 

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