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La luce del sole esplode tra gli alberi del bosco, si intrufola nei petali di “copihue” che nascono lentamente tra le sfumature di verde e infiammano i prati del campo di un rosso accesso. I raggi del giorno raggiungono il letto del fiume, in costante movimento e trasformazione, l’acqua brilla nel costante gioco di scivolare tra le lisce superfici delle pietre dormienti che costruiscono le autostrade dei torrenti. Ogni elemento si fonde l’uno con l’altro, seguendo accordi ancestrali di una convivenza che perdura nel tempo e accoglie gli spiriti e le energie della natura. Le strisce di bagliore, che scaldano e inondano di vita, entrano timidamente tra i rami intrecciati che costruiscono il tetto della ruka e rendono più visibili le traiettorie del fumo quasi nauseante, ricoprendo questo edificio tradizionale mapuche. Il fuoco al centro continua ad ardere imperterrito, dando l’impressione di bruciare da tempi lontani senza aver mai perso l’ossigeno che alimenta la sua vita. Il risultato di questo mistero è una continua cupola di fumo, si sparge in ogni angolo e impregna i tronchi che sorreggono la struttura tra le paglie e i rami, custodi dei confini di questo tempio antico. Il corpo lentamente si abitua a questa condizione, a fatica, mentre gli occhi piangono lacrime salate nel tentativo di lubrificarsi e resistere a questa foschia fumosa.