Qui nel progetto in Grecia, in queste prime settimane ricche di incontri, di scambi di sguardi e di silenzi, ho ripensato molte volte alle parole della poesia di Pablo Neruda: “Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati”.
Mi ritornano in mente ogni volta che andiamo al campo di Ritsona o di Malakasa, e vedo le mura di cemento e il filo spinato che delimitano lo spazio, sento l'odore dell'industria chimica che volteggia nell'aria e vedo le guardie all'ingresso che osservano con attenzione ogni spostamento.
Sono sempre stata convinta, e lo sono ancora di più oggi che porto una vita in grembo, che il dono della vita sia una cosa grandiosa, un urlo di gioia verso una nuova dimensione, dove tutto prende una nuova forma, un nuovo rumore, un nuovo odore e un nuovo colore, impariamo pian piano a conoscere questo immenso mondo e a capire le sue magiche dinamiche.
Non siamo mai soli in tutti questi passaggi, veniamo aiutati a nascere dalle mani sicure di un'ostetrica, poi accolti dagli abbracci caldi della nostra famiglia e cresciuti da un'intera comunità educante, insomma crescere è un grande lavoro e una grande impresa.
Qui in Grecia, nel sud dell'Europa, all'interno di un campo per richiedenti asilo è ancora così magico nascere?

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“Tourists enjoy your stay in the cemetery of Europe” recita un grande murales in uno dei quartieri di Atene. Sarà stato visto dai milioni di turisti che ogni estate invadono la città precipitandosi a comprare i soliti souvenir di plastica e a bruciarsi sotto il sole che batte sull’Acropoli?
Questi turisti avranno pensato anche solo per un attimo, guardando il mare sotto ai traghetti che li portano su isole troppo affollate, alle persone che vi hanno perso la vita?
Secondo gli ultimi aggiornamenti dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), soltanto nel 2024 le persone uccise in mare dalle politiche europee sulla migrazione sono oltre mille, almeno 30.000 negli ultimi dieci anni; la rotta del Mediterraneo orientale, dalla Turchia alla Grecia, è tra le più pericolose perché la guardia costiera greca continua ad effettuare respingimenti, pratica ampiamente documentata e già condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in relazione alla causa Safi et al. contro Grecia, e perché non vi sono ONG che operano nel soccorso.
Quelli che riescono a sopravvivere al mare e alla guardia costiera vengono destinati ai campi profughi; prima vengono trattenuti in quelli sulle isole, campi chiusi sorvegliati come prigioni, quindi sono trasferiti in uno dei campi presenti sulla terraferma, divisi in Reception and Identification Centres (RIC), Malakasa, Diavata e Fylakio, e Controlled Reception Centres for asylum seekers (CTRC). Questi sono ormai l’unico tipo di soluzione abitativa offerta dal governo greco alle persone in movimento, dopo la completa chiusura nel 2022 del programma ESTIA, che prevedeva la sistemazione decentralizzata delle persone considerate più vulnerabili in appartamenti e una serie di servizi di supporto.

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Confine è una linea che delimita e definisce uno spazio.
Confine è un limite che l’uomo si impone per dividere, allontanare, tenere fuori ciò che gli fa paura.
Confine è dimenticare che ciò che ci rende umani è l’incontro con l’altro.
Tutto questo è l’Evros, un confine naturale che separa la Grecia dalla Turchia, una porta lunga circa 130 Km verso l’Europa per tante persone in movimento.
Per capire cos’è un confine bisogna andare a toccarlo con mano.
L’Evros si mostra al nostro sguardo in tutta la sua brutalità, protetto da un muro che sembra infinito fatto di reti, barriere, basi militari e un dispiegamento di forze militari, polizia di frontiera e Frontex.
Per capire siamo voluti andare sulle rive di quel fiume, un posto che dovrebbe essere naturalmente libero, ma che essendo una delle “porte dell’Europa” diventa un luogo inaccessibile, dove non sarebbe permesso andare.
La polizia di frontiera ci ferma e la vediamo spaventata da due ragazzi.
Veniamo scortati alla stazione di polizia più vicina e trattenuti per 4 ore.
Osserviamo in un luogo che mostra tutta la sua potenza repressiva un insieme di persone totalmente scollegate dalla realtà che noi tocchiamo quotidianamente.

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I volontari e le volontarie di Operazione Colomba in questi mesi hanno lavorato, in cooperazione con altre organizzazioni e collettivi solidali che agiscono sul campo, per scrivere una Dichiarazione sulla situazione di isolamento del campo profughi di Ritsona e le conseguenze che determina sulla vita dei residenti del campo.
Questa Dichiarazione è stata scritta nello specifico per il campo di Ritsona, ma la situazione di isolamento descritta nel documento è comune a tanti altri campi profughi in Grecia.

Il “Camp Network Group” è un gruppo informale composto da collettivi, assemblee, associazioni ed individui che lavorano in solidarietà con le persone che sono costrette a vivere in condizioni di isolamento all’interno dei campi per richiedenti asilo (Ελεγχόμενη Δομή Προσωρινής Φιλοξενίας Αιτούντων - Controlled Access Facility for Temporary Accommodation of Asylum Seekers ) nei dintorni di Atene e in tutto il territorio greco. Siamo convinti che il sistema campi per richiedenti asilo sia inumano e degradante. Questi luoghi violano i Diritti Umani delle persone e la loro libertà di movimento impedendo l’accesso ai servizi di base e rinforzando il controllo e l’isolamento anziché l’inclusione e il supporto. Nessuno dovrebbe essere costretto a vivere in queste condizioni.

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Un anno fa, un peschereccio sovraccarico è colato a picco nella fossa di Calipso, il punto più profondo del Mediterraneo.

Esattamente nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2023, l’imbarcazione Adriana partita da Tobruk, in Libia, e diretta in Italia, è naufragata al largo di Pylos, a sud del Peloponneso, Grecia, con a bordo circa 750 persone.
Solo 104 sono stati i superstiti, di cui uomini siriani, egiziani, palestinesi e pakistani e 81 i corpi recuperati.
Nel caos informativo che ne è seguito, i familiari delle vittime ancora attendono risposte esaustive e giustizia.
I 104 sopravvissuti sono stati recuperati in mare e trasferiti al campo di Malakasa per l’identificazione e la registrazione della domanda d’asilo.
Tra questi, 9 egiziani sono stati ingiustamente incolpati di traffico di essere umani e detenuti per undici mesi in carcere.
Il 21 maggio 2024, il tribunale di Kalamata ha finalmente assolto i 9 superstiti, riconoscendo l’avvenimento del naufragio in acque internazionali e facendo decadere tutte le accuse dichiarandosi incompetente sul caso.
Le violazioni perpetrate in questo anno sono continuate anche dopo la decisione della Corte d’Appello, quando i 9 sopravvissuti sono stati trasferiti alla stazione di polizia di Nafplio e illegalmente trattenuti ancora una volta.

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