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Dall’accompagnare dei pastori nelle loro terre per essere al loro fianco mentre resistono all’occupante, a documentare l’attacco ad un villaggio da parte di coloni armati, o un raid dell’esercito nella casa di una famiglia, all’accompagnare dei bambini nel viaggio che devono fare per arrivare a scuola.
In tutte queste situazioni sei presente attivamente e puoi dare il tuo contributo.
Ma c’è un momento in cui sei presente sul campo e, nonostante la tua presenza, l’unica cosa che puoi fare è assistere, come uno spettatore inerme che non può lasciare il suo posto.
Questo è quello che provi quando assisti alla demolizione della casa, e anche un po’ della vita, di un’intera famiglia.
Quando ho deciso di partecipare al progetto è stato perché non ce la facevo più a essere quello spettatore davanti al telefono o in una piazza a cercare di fare eco a tutte quelle voci spezzate, che da più di 75 anni urlano per denunciare i crimini dell’occupazione, contro il cieco occidente che si tappa le orecchie.
Quando ho deciso di scendere, era per ascoltare quelle persone ed essere al loro fianco nella loro lotta nonviolenta.
Ma quando assisti a una demolizione, tutte quelle convinzioni crollano e ti senti di troppo, senti più forte la tua condizione di spettatore delle atrocità che l’uomo è capace di compiere.