I consigli di riconciliazione del Kossovo lottano per far terminare le vendette di sangue

Albania

La vendetta di sangue purtroppo è ancora presente in Albania e in Kossovo. Di seguito riportiamo un raro caso in cui la commistione tra antiche tradizioni e moderne istituzioni locali ha dato origine a una riconciliazione reale ed effettiva tra le famiglie in conflitto.

Il testo è tradotto dall’articolo riportato in Balkan Insight del 4 novembre 2016.

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I consigli di riconciliazione del Kossovo lottano
per far terminare le vendette di sangue

I resti del codice giuridico medievale del Kossovo ancora gravano sulle comunità locali
del Kossovo, mettendo famiglie contro famiglie in un circolo di morte senza fine

Circa un anno fa, nella città di Deçani nella parte occidentale del Kossovo, Donard Lufaj ha ucciso accidentalmente un bambino di 9 anni di nome Ylber Malaj.
Lufaj è attualmente in carcere e il suo processo è in corso, ma la famiglia Malaj inizialmente non aveva contato sul tribunale locale per ottenere giustizia.
Il Kanun di Lek Dukagjini, un codice giuridico instituito nel XV secolo tra le tribù del nord dell’Albania da un nobile locale di nome Lek Dukagjini, in questi casi autorizza una vendetta occhio per occhio.
Secondo questo codice, la famiglia della persona uccisa dovrebbe uccidere un membro maschio della famiglia dell’assassino maggiore di 18 anni.
Nel corso dei secoli, la tradizione del “sangue per il sangue” si è diffusa attraverso l’Albania, il Kossovo e anche alcune zone del Montenegro, ed è tuttora presente in alcune comunità locali nel XXI secolo.
Si crede che tale fenomeno sia la causa di numerose morti, tanto che intere famiglie sono scomparse nel circolo degli omicidi. Cifre approssimative delle sue vittime non sono ancora disponibili poiché le autorità locali di solito – e spesso deliberatamente – evitano di tenere traccia di queste inquietanti statistiche, ma aggiungono quelle morti al novero delle altre.
Il Kanun di Lek Dukagjini, comunque, consente anche alla famiglia il cui membro è stato ucciso di risparmiare la vita e di “perdonare il sangue”, che è ritenuto essere il segno della più nobile moralità.
In alcune parti del Kossovo, gli anziani del villaggio, riuniti in consigli informali di riconciliazione, hanno assunto la missione di prevenire lo spargimento di sangue attraverso l’aiuto alla riconciliazione tra le famiglie bloccate in una faida.
Uno dei più recenti di questi casi è stata la riconciliazione tra le famiglie Malaj e Lufaj.
Proprio dopo l’omicidio, un consiglio della riconciliazione locale è entrato in azione.   
In linea con il codice, l’uomo anziano più rispettato della zona ha chiesto alla famiglia del bambino di concedere la “besa” – la parola d’onore, alla famiglia dell’assassino, garantendo loro che per un determinato periodo non ci sarebbe stata alcuna risposta con la violenza.
Nel frattempo, i membri del consiglio di riconciliazione hanno visitato continuamente la famiglia del ragazzo ucciso, cercando di convincerli a “perdonare il sangue”.
“L’atto di uccidere un bambino è ingombrante da solo, soprattutto dopo la guerra, quando ci aspettiamo che i nostri figli crescano normalmente. Questo caso era immensamente toccante”, ha detto a BIRN [Balkan Investigative Reporting Network] il capo del Consiglio di Riconciliazione Ali Kamaj, di 81 anni.  
Quando la famiglia Malaj ha finalmente deciso di “perdonare il sangue”, gli uomini di quella regione si sono uniti nella cerimonia di riconciliazione. Il processo di riconciliazione e la cerimonia hanno seguito attentamente il Codice di Lek Dukagjini.
La cerimonia stessa si è tenuta nell’edificio della Municipalità di Deçani, dove anche il sindaco era presente siccome ha aiutato nel processo.
“Noi, la famiglia Malaj, abbiamo disteso il dito che preme il grilletto come gesto di riconciliazione” ha detto Said Malaj, il rappresentante della famgilia Malaj durante la cerimonia, mentre offriva la sua mano al rappresentante della famiglia Lufaj.
Mentre le lacrime scendevano lungo le sue guance, Avdullah Shala, un cugino di Donard Lufaj che ha commesso l’omicidio, si è rivolto alle altre famiglie: “Parlate sempre e avvertire i ragazzi e le ragazze giovani affinché non prendano parte a nessun conflitto. Parlate quanto più potete con la gioventù per prevenire simili casi”.
“Questo è stato molto difficile perché tutti noi abbiamo bambini, ma sembra che esistano ancora uomini su questa terra – tra gli Albanesi – disposti a compiere un tale gesto”, ha detto a BIRN Ali Kamaj, 81 anni, il capo del Consiglio di Riconciliazione.
I membri del Consiglio non riescono a quantificare il numero esatto di casi simili nella regione di Deçani, ma Kamaj ammette che solo nel villaggio di Strellc ci sono attualmente nove casi di vendetta di sangue.
Ha aggiunto che ci sono casi nei quali le famiglie delle vittime non si accordano per concedere la “besa” alle famiglie degli assassini. In tali casi, i membri della famiglia dell’omicida – soprattutto gli uomini – sono reclusi, fino al momento di una possibile riconciliazione.
Kamaj ha detto che il caso Malaj-Lufaj ha richiesto un lungo e difficile lavoro, ma ha aggiunto che il risultato positivo lo stimola nel continuare la sua missione.
“Ho 81 anni. Sono stanco ma sento nell’animo che devo lavorare su questi casi. Spero che le persone diventino più consapevoli” ha affermato. Besim Hoxha, un Imam locale (esponente del clero islamico) e un altro membro del Consiglio, che hanno lavorato su questo caso, l’hanno descritto come uno dei più toccanti.
Hoxha ha detto a BIRN che il processo di riconciliazione non dovrebbe essere ufficialmente istituzionalizzato, perché potrebbe interferire nel processo giudiziario. “Abbiamo lottato e lavorato per avere uno stato istituzionale. Sollecito il Tribunale e la Procura a perseguire le loro procedure legali. Abbiamo anche il dovere religioso e nazionale di riconciliare le persone, ma non in modo da interferire con le questioni giudiziarie”, ha detto Hoxha.
Comunque, il capo del Consiglio di Riconciliazione, Ali Kamaj, ha più fiducia in questo processo informale che nelle istituzioni e nei procedimenti formali del Kossovo. “Non credo nelle istituzioni giudiziarie. Credo ad esse tanto quanto credo a un serpente. Non stanno lavorando come dovrebbero” ha detto a BIRN.