Operazione Colomba in Congo

Comunicato Stampa
Pace per il Kivu (Repubblica Democratica del Congo)

Con Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Benzi, in questi giorni ci siamo recati nel Nord Kivu  per rimanere un mese e, come primo passo, cercare di conoscere meglio il conflitto, la situazione della gente e se ci sono le condizioni per  un eventuale nostro  inserimento.
L'incontro con l'Africa è sempre particolare: l'imponenza e la bellezza dei suoi paesaggi tolgono il respiro.

 

All'opposto i suoi drammi sono straordinariamente acuti per estensione e intensità. Il Rwanda con le sue 1000 colline ricorda la Svizzera  per  la ricchezza della vegetazione, nonostante  la stagione secca.
Arrivati in Congo ci si apre davanti agli occhi, maestoso, il Lago Kivu che corre da Goma verso Sud. La frontiera tra i due Paesi è nella periferia della città di Goma, capoluogo della regione del Nord Kivu e attualmente la città più coinvolta nel conflitto. E qui il  paesaggio lascia il posto al dramma umano: Goma e il territorio limitrofo portano i segni della guerra. La città si presenta polverosa e nera per la lava scura che l'ha invasa e sommersa dall'eruzione di un vulcano nel 2002, con una grande periferia degradata, più curata nella parte centrale, dove hanno gli uffici le agenzie umanitarie e le grosse Ong.
La periferia di Goma ha subito l'ultimo attacco armato lo scorso 29 Maggio.
La città vive un'apparente normalità. Come nelle altre situazioni di guerra, finito l'attacco acuto la gente riprende a vivere: le strade si popolano di vita e di colori, negozietti, chioschi, banchetti improvvisati riaprono i battenti. Ma all'imbrunire, la città si svuota. Per motivi di sicurezza non c'è più gente in giro. Gli atti di banditismo e di violenza così come i furti sono frequenti.
E le città in qualche modo sono più protette; nelle zone rurali, invece, i gruppi ribelli la fanno da padroni.  
Attualmente nell'area di Goma e delle città vicine di Rutshuri e Massisi, ma anche poco più a Nord, i gruppi ribelli che si spartiscono il territorio sono circa 30. Tra questi il gruppo  più noto è l'M23 che arriva fin quasi la periferia cittadina.
Nel Nord Kivu si fa presto a creare una milizia: basta  avere un po' di soldi, 10 persone e 10 armi ed un altro gruppo armato che si aggiunge ai precedenti con il suo ulteriore carico di morte e distruzione.
Alcuni gruppi armati provengono dall’Uganda e dal Rwanda. Ogni gruppo ribelle è legato ad una propria comunità di appartenenza. Le forze regolari non sono ben strutturate e non riescono a proteggere la popolazione che vive nella paura. Inoltre, l’esercito, la polizia e l’intelligence  abusano spesso del loro potere. Sia l’esercito regolare sia i combattenti, hanno occupato le abitazioni e si riforniscono di cibarie dai campi coltivati dei congolesi in fuga.
Il territorio è frammentato, la gente continuamente si sposta in cerca di luoghi sicuri. Questa situazione non consente di lavorare la terra, di frequentare con regolarità la scuola, crea conflitti per la proprietà dei terreni, le donne sono vittime della violenza, oltre che nelle mura domestiche, anche da parte delle varie milizie armate. La vita non vale niente.  C'è un problema umanitario enorme e tutti hanno problemi a soddisfare i bisogni primari. Si mangia se va bene una volta la giorno. Nei momenti di conflitto più acuto si è arrivati a mangiare una volta ogni 4 giorni. E poi promiscuità nelle e tra le famiglie, degrado di ogni tipo, sofferenze indicibili.
Gli sfollati nell'area sono 940.000: ci sono 31 campi  per sfollati interni in nord Kivu, di cui l'80% è  distribuito intorno a Goma e alle città limitrofe di Rutschuru, Masisi e Walikale.
Nei campi vive  meno della metà della popolazione. La maggior parte  vivono in famiglie che li ospitano.
Visitiamo il campo di Ac Vert, sulla strada per Sake, a est di Goma: sono presenti  28.328 persone sfollate. Vengono distribuiti tre pacchi al mese a famiglia, ogni pacco di un chilo e mezzo contiene del mais, che poi deve essere macinato e cucinato in condizioni precarie. In delle  piccole capanne di 5-6 metri quadrati cercano di sopravvivere intere famiglie di 10-11 persone in assenza totale di servizi.                                                   

Il Congo a livello di risorse naturali è come una miniera d’oro. E allo stesso tempo è agli ultimi  posti della classifica per lo sviluppo umano (HDI).
L’acqua sarà il nuovo oro bianco. E la regione è ai primi posti a livello mondiale come ricchezza di acqua dolce quindi è un area che attira gli interessi economici e politici mondiali.
Le cause del conflitto nella regione del Kivu vanno ricercate nel desiderio di controllare tutte  le risorse che quest’area detiene.
Il genocidio  in Rwanda dei Tutsi e degli Hutu moderati nel 1994-1995 ha internazionalizzato il conflitto nel quale sono coinvolti, infatti, anche il Rwanda e, in maniera oggi meno visibile, l'Uganda.
Testimoni dicono che nell'attacco alla città di Goma delle forze ribelli dell'M23 lo scorso novembre fossero presenti anche forze Rwandesi ed è provato che gruppi ribelli presenti e attivi sul territorio sono controllati da questi due Paesi.
Lo stesso Presidente della Repubblica Democratica del Congo ha una posizione debole e ambigua che complica la situazione: non si capisce infatti quali siano i suoi obiettivi non dichiarati.
Dietro questi Paesi ci sono gli interessi strategici degli Usa e dell'Europa e a Goma, dove c'è molto scetticismo sul fatto che ci sia la volontà di fare cessare il conflitto, dicono che se queste potenze lo volessero, la pace sarebbe un obbiettivo facilmente raggiungibile.
I caschi blu  presenti da tempo nella regione sono 3.500.
Con gli accordi di Addis Ababa dello scorso febbraio, ogni soggetto coinvolto si è impegnato a parole a fare la propria parte perché il confitto cessi.
A supporto dell'accordo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è impegnato a rafforzare il contingente dei caschi blu e attualmente stanno arrivando altri 2500 unità con il mandato di neutralizzare i gruppi armati e di controllare le frontiere con il Rwanda e l'Uganda.

Bisogna che il governo italiano, la Chiesa e gli uomini di buona volontà si mobilitino in maniera decisa e concreta, ognuno per la propria parte e nelle sedi opportune, affinché il diritto alla pace nella giustizia diventi un obiettivo raggiungibile anche per il sofferente popolo congolese.

Faccio appello a tutti i cristiani affinché preghino per la pace in Congo e in tutto il mondo. Se la pace è dono di Dio, non deve  rimanere la cenerentola delle nostre preghiere ma ogni giorno in maniera precisa e determinata bisogna chiederla al Signore, in comunione con i tanti fratelli e sorelle che in questi luoghi di morte da anni levano quotidianamente le mani verso il cielo.

 

Antonio De Filippis