Siate egoisti, fate del Bene!

Afferro la scatola, mi giro e la passo, afferro la scatola, mi giro e la passo, afferro la scatola, mi giro e la passo.
Dopo aver quasi riempito del tutto il pulmino con 500 scatole di cibo, mi viene chiesto di aiutare a caricare le ultime cose, 2 generatori di corrente.
C’è spazio solamente per il guidatore e nella fila subito dietro di lui.
Chiedo ad O. quale è la destinazione di oggi.
“Shyroke, volete venire? Arrivati lì servirebbe una mano a consegnare tutti questi aiuti ai cittadini rimasti”.
Io e Matteo saliamo per primi, D. e S. ci seguono ed infine O. che si siede al volante; ora il pulmino è completamente pieno.
Dopo un’ora di viaggio ci fermiamo in un villaggio per aspettare la guida che ci porterà all’interno della città.
Questo villaggio è composto da pochissime case, alcune file di binari e un mini market.
Scendendo dal pulmino sotto la pioggia, oltre a sprofondare nel fango, ci rendiamo conto di essere circondati da militari che spuntano da ogni direzione.
“Queste persone fanno parte di 3 battaglioni diversi che hanno combattuto per la liberazione di Cherson e che adesso sono qui ad aspettare un treno che li porti all’Inferno”.

È così che il ragazzo che ci sta spiegando tutto questo continua a descrivere la situazione attuale della loro destinazione, il Donbas.
Avvicinandoci all’alimentari per aspettare la guida, O. ci dice di voler lasciare alcune scatole di cibo anche qui, quindi dopo aver fatto alcune manovre posiziona il pulmino vicino alle rotaie.
Tolgo lo sguardo dall’interno del pulmino e mi rendo conto di essere in mezzo ad un centinaio di militari armati fino ai denti che mi fissano con uno sguardo stanco e facce stravolte.
Non mi sento bene.

Non sono mai stato così vicino a così tante armi cariche.
Non sono mai stato davanti ad una persona che fino a qualche settimana prima stava combattendo per salvarsi la vita.
Non avevo mai guardato negli occhi una persona stravolta dalla guerra che ha veramente rischiato la morte.
Provo paura e allo stesso tempo sconforto.
Do un’occhiata in giro e vedo scene che mi resteranno impresse per tutta la vita.
Di fronte a me noto un soldato seduto per terra palesemente esausto che cerca di dare un pezzo di pane ad un cane randagio che gli passa affianco; la scena mi colpisce, sembra che per qualche secondo non stia pensando a questa straziante guerra e a ciò che lo aspetta, ma che si preoccupi semplicemente di sfamare un piccolo animale di passaggio piuttosto che sfamare se stesso.
Giro il mio sguardo da un’altra parte e vedo molti soldati che si puliscono le mani e gli stivali nelle pozzanghere in mezzo al fango.
Sembra un film, ma so che non lo è.
Provo sentimenti mai provati prima.
Continuando ad aspettare la guida, ci viene chiesto se vogliamo prendere un caffè e ci dirigiamo verso il mini market, meta bramata pure da gran parte dei militari.
Finito il caffè devo fumarmi una sigaretta per placare il nervosismo, Matteo mi fa compagnia.
Ci viene incontro un soldato che sta puntando anche lui l’alimentari.
È un ragazzo biondo, ha gli occhi azzurri e le sue mani sono sporche di fango.
Notiamo che ha una fede sulla mano destra, ma la cosa che attira di più il nostro sguardo è il suo viso: avrà all’incirca 20 anni, perché ha dei lineamenti da ragazzo, ma il suo volto e il suo sguardo sembrano appartenere ad una persona adulta che ha visto e vissuto cose che un ragazzo di questa età non dovrebbe nemmeno lontanamente immaginare.
Continuo a non sentirmi bene, ho la pelle d’oca, potrebbe avere la stessa età di mio fratello.
Mi sento male, è come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco.
La guida finalmente arriva e quindi risaliamo sul pulmino per continuare la spedizione, ci manca metà percorso per giungere la destinazione.
Dopo svariati slalom tra buche sull’asfalto provocate dai bombardamenti, antenne dell’elettricità a pezzi e rottami di autocarri distrutti nei campi arriviamo all’ingresso della città, ma poco prima di entrare D. e S. ci propongono una scommessa: “Se riuscite a contare anche solo 3 edifici completamente intatti in tutta la città, vi diamo 50 grivnie”.
Shyroke è un paese che si trova allo stesso meridiano di Kherson ma più a nord; è stato occupato per 6 mesi dall’esercito russo e si è quindi trovato in mezzo ai bombardamenti di entrambe le parti.
Ci dicono che durante questi mesi di occupazione russa la città è rimasta senza cibo, acqua ed elettricità.
Durante i combattimenti hanno continuato a vivere in città 45 famiglie e che attualmente, dopo la ritirato russa, alcune sono riuscite ad andarsene e altre sono rimaste, all’incirca 22.
Ci raccontano che i cittadini, per la fame, si sono dovuti mangiare gli animali domestici e che la prima volta che sono venuti qui a consegnare gli aiuti le persone hanno iniziato a mangiare voracemente con le mani davanti a loro tutto il cibo che contenevano le scatole.
Sembrano storie inventate, ma non è così.
È questo che porta la fame.
Nel percorrere la strada principale della città non c’è un edificio che sia uno, che non abbia subìto danni dai bombardamenti, diretti o indiretti.
Case sventrate, pali della corrente abbattuti, buche sull’asfalto, cancelli distrutti e muri forati dai detriti dei missili.
È uno scenario mostruoso, sono sconcertato.
A poco a poco vediamo alcune persone uscire da ciò che resta delle loro abitazioni e venire verso il pulmino dove ci siamo fermati, per ricevere il proprio pacco.
Continuo a restare incredulo di tutto ciò che sto vedendo.
La maggior parte delle persone sono adulti e anziani, ma ad un certo punto vedo in lontananza che si stanno avvicinando altre persone e li mi pietrifico.
Sono una madre che tiene per mano suo figlio, un bambino che avrà poco più di 6 anni.
Non posso crederci e soprattutto non voglio.
Inizio a pensare quanto dev’essere stato difficile e straziante per entrambi restare nascosti nella loro casa durante i bombardamenti che sono risuonati per mesi in questa città.
Un bambino così piccolo immerso nel pieno della guerra.
Provo tanta rabbia e altrettanta tristezza.
Consegniamo il pacco di alimenti alla madre e dopo aver percorso alcuni metri per tornare verso la loro abitazione è accaduto qualcosa che mi resterà per sempre impresso nel cuore e nella mente.
Il figlio, vedendo la madre portare il pesante pacco, l’ha fermata e le ha fatto il gesto di volerlo portare lui al posto suo.
Sono basito.
Vedere con i miei occhi l’immensa forza di resilienza di un bambino così piccolo nei confronti della propria madre, nonostante abbia vissuto e provato così tanti sentimenti che non riesco minimamente a immaginare, mi ha lasciato davvero senza parole.
Nonostante tutto il dolore, la paura e il male provato durante questi mesi trascorsi nascosti pregando che non venisse colpita la loro abitazione, questo bambino mi sta dimostrato che non ci si può arrendere davanti a nessun ostacolo, come può essere la guerra, non davanti a problemi che sembrano insormontabili, come può essere un pacco più grosso e pesante di te, e soprattutto non davanti alle persone che vedi in difficoltà, come può essere tua madre.
Consegnato i pacchi a tutte le persone rimaste qui, ci spostiamo in un altro villaggio vicino per depositare le scatole che rimangono nel pulmino.
Anche questa cittadina, chiamata Chervona Dolyna, è stata colpita da svariati missili durante i combattimenti.
Appena arriviamo davanti ad un edificio con metà delle finestre rotte a causa delle onde d’urto di un razzo caduto sull’asfalto lì di fronte, troviamo già molta gente in attesa di ricevere il proprio pacco.
Dopo averli distribuiti, facciamo una catena umana con alcune persone rimaste a darci una mano e le posizioniamo all’interno dell’edificio.
Il pulmino è finalmente vuoto, possiamo rientrare a Mykolaïv.
Sono stanco, provato fisicamente ma soprattutto psicologicamente.
Sono traumatizzato dalla brutalità della guerra, che non perdona nessuno.
Ho studiato la guerra durante il mio percorso universitario, ho letto articoli di giornalisti che parlavano delle conseguenze che causa, ma vederla con i miei occhi è stato davvero scioccante.
Tornato al centro che ci ospita (ormai da mesi), elaborando tutto ciò che ho visto a mente fredda, mi rendo conto che quel bambino incontrato a Shyroke mi ha trasmesso un insegnamento che mi porterò dentro per il resto della vita… mentre continuo a ripetermi e ripetervi: “Siate egoisti, fate del bene!”.

GC