Giorno 3: lode sperticata ad Al Bano

La carovana raggiunge trafelata, e in ritardo sulla tabella di marcia, il quartiere della città dove deve avvenire la distribuzione di pacchi di aiuti alimentari per la popolazione.
Il programma prevede che tutti insieme, noi e i 120 rappresentati di varie Associazioni unite sotto la sigla #Stop The War Now, si canti qualche canzone per intrattenere la folla sperando di portare un pochino di sollievo anche umano a questa comunità.
Siccome sono “saggio” mi sono fatto dare un passaggio dal pulmino in cui viaggia anche il nostro band-leader che, per inciso, sembra Tom Fogerty e che, insieme a K, suonerà  la chitarra guidando il coro mal messo e improvvisato di carovanieri.
Nel mio immaginario musicale, ho in mente tutta una serie di canzoni mitiche contro la guerra, da Bob Dylan ai Pink Floyd, passando per gli U2 e i Creedence Clearwater Revival di cui Tom era appunto un valente membro.
Nutro fantasie musicali estreme che si spingono fino ad una serie di meravigliose ballate irlandesi tradizionali dal chiaro significato pacifista, pur rendendomi conto che nel raggio di mille chilometri non c'è nessun altro a cui freghi niente della musica irlandese.
Scendiamo dai pulmini e, al centro del tipico parco giochi in tubi innocenti tra casermoni grigi, dove una folla piuttosto consistente ci sta aspettando, si approntano le chitarre, un leggio soffiato al pastore della comunità e un amplificatore.
M., deputato del consiglio comunale e grande regista della giornata, e che soprattutto si è fatto un mazzo di tipo biblico per aiutare la sua città a riprendersi dai bombardamenti, si avvicina a K e a Tom e fa presente che ci si aspetta che suonino “Felicità” di Al Bano.

La gente se lo aspetta, è una richiesta cortese ma nasconde un che di perentorio da cui sembra difficile sottrarsi senza causare un serio incidente diplomatico.
Ci sono cose che un uomo può fare nella vita e cose che proprio gli sono precluse.
Capisco vivere in un bunker con la popolazione ucraina, mi spingo fino alla colazione con un involtino fritto ripieno di cavolo come sta mattina, ma cantare Al Bano no, non lo capisco, va al di là di ciò che mi sembra lecito chiedere.
Tornando indietro e pensando ai danni causati dall’URSS, inizio a rivedere la mia personale classifica e, tutto d'un tratto, la trasmissione in chiaro di Sanremo ’82 sulle reti del partito, mi pare un crimine efferato di una magnitudine esagerata.
La band attacca con “knocking on the heaven’s door” di Bob Dylan e, seppure io che non sono mai contento, avrei preferito la versione dei Guns n’ Roses, aggiungo la mia voce al coro.
Noi e i carovanieri cantiamo con convinzione ma il pubblico ucraino non sembra entusiasta. Battono le mani, questo è vero, qualcuno si muove a ritmo, ma hanno l’aria di chi si aspetta con pieno diritto una pizza e si vede servire una pietanza tex-Mex; commestibile è commestibile ma non c'è paragone.
Applauso abbastanza convinto al termine del brano ma l’entusiasmo è un'altra cosa.
M. lancia uno sguardo eloquente ai chitarristi che, credo loro malgrado, si sottomettono in nome della pace nel mondo e della comunione tra i popoli.
La mia personale avversione per la musica leggera italiana non conta, anche se per un istante ho sperato che l'intera categoria rientrasse negli elenchi di torture proibite dalla convenzione di Ginevra, nessun cavillo legale ci salverà oggi.
Tocca cantare, e forte per di più.
Il 90% dei carovanieri e io, siamo costretti a leggere il testo sui nostri cellulari, il che dovrebbe già bastare come misurazione dello stato di salute di “Felicità” all’interno del panorama culturale italiano.
Ma qui siamo in Ucraina, il panorama culturale, nel bene o nel male, è un altro.
Le chitarre attaccano le prime note, con sforzo sinergico e sinaptico estremo becchiamo tutti insieme il primo “felicità” e la magia, di quelle vere, accade.
Una scossa di energia pura, entusiasmo alle stelle, un elettrico spasmo ritmico,  invade lo spiazzo tra i casermoni.
La reazione è talmente positiva che mi sento costretto da un imperativo morale a cantare più forte, a metterci più energia, dimenticando per un momento le mie dubbie capacità canore.
Non posso che chinare la testa di fronte alla forza dell’arte, forse il problema sono io, non la musica.
Forse non avevo colto appieno l’anima del pezzo e il mio snobismo mi impediva di vedere le qualità nascoste di un brano che ho sottovalutato fin dall'inizio.
Eppure gli ucraini che cantano, battono le mani e ballano persino, sono troppi perché possano essere nel torto tutti, quello che si sbaglia evidentemente sono io.
Quindi, nonostante il testo che trova benissimo spazio in un libro di filastrocche per le elementari, inizio a pensare che Al Bano sia un genio, perché non saprei come altro definire uno che è riuscito a distillare il senso preciso della felicità senza grandi giri di parole o soluzioni retoriche auliche ma, semplicemente si fa per dire, gridando fortissimo “felicità”.
Ci vuole un lampo di intuizione superiore per trasmettere un’emozione così potente in maniera così semplice.
Mi ritrovo folgorato sulla via di Damasco, non più incredulo ma credente.
Più tardi a cena M. ci racconterà, confermando quello che ho provato nello spiazzo tra i palazzoni, di essere stato fermato da molti degli abitanti che gli hanno confessato che per un momento, per la prima volta da mesi, hanno dimenticato di trovarsi in una guerra.
La sera stanco morto, al momento di mettermi a letto, mi viene da canticchiare, e ci vuole un momento prima che me ne renda conto: “andare lontano, tenersi per mano, la felicità”.
Da solo, al buio tra le lenzuola, mi scopro sia incredulo che credente, Al Bano e la comunione con la gente di qui mi hanno fregato.