Colombe e cicogne

Il cielo è di un azzurro illegale, ha deciso di rompere il grigio monotono che si spaccia per cartolina dell’Ucraina del sud. Cobalto e prati infiniti, fossero coltivati a grano sembrerebbe di correre direttamente sulla bandiera nazionale proprio dove i due colori si toccano, come la strada qui che era la linea del fronte sei mesi fa, oro contro blu, le buche lasciate dai razzi rattoppate alla meglio. Invece ora il colore della metà inferiore è un marrone quasi nero puntinato di verde, in attesa di tempi propizi per il raccolto. Per essere in giro per il “granaio d’Europa” di coltivazioni manco l’ombra; i frutti della guerra sono pochi, grigi e tristi e fanno capolino qua e là, altri, molti, sono invisibili, seminati due dita sotto la terra nera e feconda.

Voglio sperare che qualche burlone, per stemperare la tensione, abbia almeno lasciato un bigliettino del tipo:

Auguri a quello che guida il trattore!
Cordialità e abbracci.
The Russian Army.

Un’altra linea, niente bandiere. La strada corre praticamente sul 47° parallelo nord e poi si schianta ad un incrocio a T dove l’asfalto diventa un ricordo. A sud, duecento metri alla nostra destra, un villaggio, a nord, per Visunsk, qualche chilometro di rally. Noi tre colombe e O.,il nostro autista ad alto numero di ottani, svoltiamo a nord. Per entrare subito in atmosfera, cento metri dopo l’incrocio, incontriamo un Ural russo carbonizzato; il muso puntato verso il cielo, triste, così anche il retro, il colpo deve averlo centrato proprio a metà. La strada passa a un tiro di schioppo da un villaggio che, due giorni fa, in piena notte, è stata bombardato: un missile S300 ha ucciso due adolescenti, risultato che pare una s*****ata  inumana e orribile senza alcun valore strategico, tattico, o in qualunque modo tecnico decidano di esprimersi gli esperti militari. Un movimento attira la mia attenzione: un fuoristrada dalla livrea mimetica si sta avviando in un campo, in una direzione di cui sembra difficile immaginare una meta e che lascia una strana sensazione di smarrimento e insensatezza. Presto sparisce dietro al filare uguale a mille altri che, infiniti e costanti, fanno da sentinelle alle sterminate strade di questo Paese. Dopo alcuni minuti di gincana, la striscia d’asfalto svizzero, pieno di buchi, picchia sulla valle dove appare Visunsk ai piedi della discesa. Il paese è cambiato rispetto a dieci giorni fa quando eravamo venuti io e C, i cortili e i praticelli antistanti le case sono inondati di tulipani rossi e, forse complici il cielo terso e gli inediti 20 gradi, le facciate dipinte di blu hanno un'aria allegra e scanzonata. Per un momento si ha l’illusione che la tetra guerra in mostra qualche chilometro prima, sia una faccenda dimenticata e archiviata dall'arrivo della primavera.
In cima ad un palo, a rafforzare l’illusione, un nido enorme. La cicogna, bianca e superba, se ne sta placida in piedi sul suo trespolo e fa finta di niente, poco interessata alle vicende umane.
E in me scatta, regolare, il riferimento musicale: nel 1967, Vladimir Vysotsky, cantautore e dissidente sovietico, compose una canzone contro la guerra intitolata “cicogne” che, in Bielorussia, sono considerate simbolo di pace.
Fumo e cenere si alzano verso il cielo[...]
Abbiamo arato invano[...]
Ed è vero, l'amore non è per noi.
Nel testo i nidi sono vuoti, gli uccelli sono scappati a causa del clamore della guerra. La solitaria cicogna, per me e gli altri tre che sul pianeta conoscono questa canzone, sembra un segno di speranza e buon augurio e mi sembra doveroso crederci con una certa fede fanatica e un po’ bovina.
Il nostro furgone nero, che ha l’aria di un carro funebre sotto steroidi, abbandona la strada principale e costeggia il cimitero. È pieno di gente indaffarata intorno alle tombe, mazzi di tulipani scarlatti e gialli sono disposti sulle lapidi, qualcuno sta lucidando il marmo con uno strofinaccio.
O. ci spiega che nella settimana dopo Pasqua è tradizione ricordare i propri cari e portare loro dei fiori, poi indica due tombe sormontate da altrettante bandiere azzurre e gialle, grano e cieli di cobalto, e dice: -Heroes-. È la locuzione con cui in Ucraina hanno sostituito la parola soldato, la usano tutti, la si vede sui cartelloni propagandistici in giro per le città, la usa pure il pastore nei sermoni. Pur comprendendo le ragioni di una simile scelta linguistica, sono portato a dubitare: chissà se il titolo onorifico è di qualche consolazione per gli uomini che giacciono qui, cinque spanne sottoterra.
Mi viene in mente un parallelo macabro: il primo luglio del 1916, primo giorno dell’offensiva sulla Somme, altro posto pieno di bei prati verdi, molte vigne, terra buona, vini pazzeschi, 57.000 britannici in un giorno vennero messi nell’elenco “perdite”, qualcosa come 20.000 morti. La fregatura è che hanno chiamato eroi anche quelli, pure loro riposano sotto una bandiera. Qualcuno ricorda il nome di uno solo di quei 20.000? O sono solo un numero sui libri di storia nell’elenco “perdite”?
Due eroiche bandiere nel piccolo camposanto di Visunsk, per loro ci sarà un destino diverso? Chissà se oggi qualcuno ha portato dei fiori anche per loro o li hanno seppelliti lontani da casa e nessuno ha potuto fare il viaggio.
Getto una rapida occhiata ai pali della luce, alle antenne.
Intorno al cimitero non si vedono nidi, niente cicogne.
Ci lasciamo alle spalle il cimitero, arriviamo a casa di T., appena in cima alla salita, abbiamo già portato un carico più modesto la settimana scorsa. Scarichiamo tutti gli scatoloni di aiuti e facciamo le foto di rito con i presenti, capita quando si fanno queste consegne, sorrisi, abbracci, la sensazione che cento scatoloni possano in qualche modo fermare la piantumazione di bandiere e riportare quella dei girasoli.
A., che è l’unica donna del nostro gruppo, riceve in omaggio un mazzo di tulipani che manco alla premiazione di Miss Italia, poi altre foto ricordo, altri abbracci.
O. si ferma, alza lo sguardo e, con l’aria di chi fa una domanda scontata, chiede: -Avete sentito?-
Matteo risponde: -Il boom?-
-Da-
Io, come al solito, grazie al mio affinato senso di sopravvivenza, non ho sentito niente.
O. indica la strada da cui siamo venuti: -Bombardano-.
Il missile caduto due giorni fa, il fuoristrada che sembrava diretto nel nulla, ora questa esplosione, la calma primaverile è solo apparente.
Salutiamo e ripartiamo, preparandoci per il rally di ritorno.
Appena usciti dal Villaggio O. sbuffa, ferma il furgone mentre imbocca la strada svizzera e parla tra sé guardando la metà azzurra della bandiera nazionale ucraina, anche io guardo, ma nelle nuvole non vedo nessun segno premonitore. O. sbuffa di nuovo, caccia dentro la retro commentando in russo e fa manovra.
-Torniamo indietro, facciamo una strada più lunga ma più sicura- lo dice nel suo inglese zoppo.
Tenete duro cicogne, tenete duro.

G.