Si può fare la guerra

Davanti a noi, ad un tavolo di dialogo a Ginevra con le Nazioni Unite, un ragazzo, un attivista, in arabo, spiega al delegato perché è fondamentale che ci sia una dichiarazione ufficiale dell'ONU di denuncia delle deportazioni e arruolamenti forzati di siriani dal Libano alla Siria.
Quasi in lacrime spiega: se non lo farete, senza una vostra denuncia, le deportazioni continueranno e saranno accettate come qualcosa che si può fare, di lecito. E altri, in altre parti del mondo, lo faranno.
Una idea semplice giusta e comprensibile. Espressa come una supplica, una preghiera verso un dio, la comunità internazionale, che forse non esiste.

La guerra di questi giorni nel nord della Siria è la diretta conseguenza di questo modo di pensare: accettare con deboli proteste solo simboliche, con un coinvolgimento personale minimo, che in una parte del mondo, la Siria, si possa espellere metà della popolazione, assediare e bombardare i civili, per anni, incarcerare e torturare, sostenere i gruppi terroristi: il tutto nel tiepido silenzio di chi se ne frega e dal dolore della guerra non vuole essere sfiorato.
Eppure è semplice: la guerra, la violenza non sono lecite, vanno ripudiate e da subito occorre coinvolgersi e sostenere chi concretamente lavora per un presente fatto di faticosa ma meravigliosa lotta senza armi.
Forse il dio degli Stati non esiste o non ha a cuore la vita dei civili, ma certo dentro ognuno di noi esiste la capacità di costruire una pace che parte dalla vita spezzata delle vittime della guerra, esiste la capacità di pensare e vivere già da subito un futuro diverso dalla vendetta, dagli stupri, dalla violenza sui più deboli, dall’omicidio di massa, dalle torture.
Mi sembra che questo futuro sia formato da tre dimensioni:
Da un desiderio profondo di distaccarsi dalle logiche di potere e ideologiche del passato: abbiamo una sete infinita di vita, non inquinata dall’odio e dalla violenza.
Da una scelta personale: voglio trovare un modo profondamente mio per non essere complice e non contribuire, con la mia passività, a queste guerre.
Dai sogni e dalle lacrime dei più poveri, dalla vita con loro e non da vecchie teorie che non hanno mai funzionato.
Nasce e cresce l'alternativa che i nostri cuori, le nostre anime e le nostre intelligenze cercano, con la forza indomabile con cui un profugo cerca la pace.

K