VISIT PALESTINE: CARTOLINE DAI TERRITORI OCCUPATI / 2

Villaggio di Az Zawiya – Checkpoint agricoli

Abu Sameer esce di casa, avvolto dall’oscurità si incammina per le viuzze della sua città.
Man mano che procede, si affiancano a lui altri concittadini.
Sono le 5 della mattina, la città è ancora silente. Solo i lavoratori procedono in quella che è una routine di saluti, sbadigli, attese, imprecazioni, ingiustizie, solidarietà.
Un cammino tra città e boscaglia per arrivare al gate, quella stretta porta di ferro che gli permette di andare dall’ “altra parte”.
C’è già gente radunata, in attesa. Lavoratori, operai per la maggior parte.
Ma ci sono anche molti contadini, come Abu Sameer, a cui quella recinzione impedisce di prendersi cura della propria terra liberamente.
L’orario di apertura del gate è alle 6. Ma dipende un po’ dal volere dei soldati. A volte ritardano qualche minuto, a volte ore. Intanto i lavoratori attendono, d’inverno sotto una pioggia scrosciante.
Arriva la jeep militare. Scendono due soldati e si posizionano a destra e a sinistra del gate.

Lo aprono e iniziano a chiedere i documenti. Occhi sul permesso di accesso, occhi sul volto del palestinese. Può passare, tutto in regola. Lavoratore, dopo lavoratore, poco meno di un centinaio. È una processione che dura 15 minuti. Questo è il tempo di apertura del gate, raramente si accettano eccezioni.
Abu Sameer si mette in fila come gli altri. I soldati lo squadrano, si guardano fra di loro e fanno un cenno negativo con la testa dicendo che l’asino non passa. Abu Sameer prova a spiegare che le sue terre si trovano a diversi chilometri e non può raggiungerle a piedi. Ma protestare serve a poco, i soldati sono categorici: non gli è consentito di portare con sé l’asino.
Ad altri dopo di lui sarà vietato attraversare il gate con la bicicletta. Nonostante la necessità, viste le distanze che dovranno percorrere una volta superata la barriera, il divieto sembra essere indiscutibile. A quanto pare oggi i soldati considerano un asino o una bici una grave minaccia alla sicurezza.
Abu Sameer indietreggia sconsolato e riprende il percorso verso casa. Altri lasciano la bici lì per terra e proseguono i controlli per attraversare la barriera.
Attesa, controlli, gente che passa, gente costretta a tornare indietro. Non ci sono giustificazioni la gran parte delle volte, dipende semplicemente dell’umore del soldato che ha le chiavi di quel gate.
Giorno, dopo giorno.

Circa il 35% delle terre agricole di Az Zawiya è situata aldilà della barriera di separazione e entro i confini della colonia di Elkana. È la cosiddetta Seam Zone, l’area imprigionata tra La Green Line e la Barriera di Separazione. Per accedere ai propri campi, gli agricoltori palestinesi devono ottenere un permesso speciale dall’Amministrazione civile israeliana, dimostrando la proprietà e il legame con la terra. Il rilascio di tali permessi, spesso viene ristretto a precisi periodi stagionali, ad esempio la raccolta delle olive.
Il sistema di autorizzazioni ostacola il mantenimento dei terreni agricoli, impedendo la gran parte delle volte lo svolgimento di attività generali durante tutto l’anno.
L’accesso ai terreni è consentito attraverso gate agricoli, punti di attraversamento stabiliti da Israele lungo la barriera di separazione, come il gate di Magen Dan per la comunità di Az-Zawiya.
Questi checkpoint agricoli sono controllati dall’esercito israeliano e comportano una stretta rete di permessi e restrizioni. Il gate di Magen Dan viene aperto per soli 15 minuti, tre volte al giorno. Come monitorato per un periodo dai volontari di Operazione Colomba, l’orario di apertura, così come il permesso di trasportare aldilà della barriera bici o animali da soma, è a discrezione dei soldati.