VISIT PALESTINE: CARTOLINE DAI TERRITORI OCCUPATI / 9

Ein Hajla – Storie di resistenza

Mahmoud si siede sulla sdraio.
Hafez prepara il baba ganush e la cena con i pochi strumenti che hanno portato con sé.
Con il sopraggiungere della sera, si alza un po’ di brezza.
Mahmoud guarda il fuoco, immerso nei suoi pensieri.
Quel luogo disabitato è lo scrigno di una storia di resistenza.
“I fumogeni, la violenza, i soldati schierati, le urla, gli sfratti. Ti ricordi Hafez?
Ma che giorni sono stati.
Lo sentivi nell’aria che la gente era stanca, si era pronti per qualcosa di grosso.
In quanti eravamo, e che sogni avevamo.
Intere famiglie si erano stabilite qui, da tutta la Cisgiordania.
Tutte qui.

Per reclamare la fine di questo scempio, dell’occupazione.
Ti ricordi come abbiamo colto di sorpresa i soldati?
Abbiamo piantato tende a poca distanza da una base militare.
E ci abbiamo vissuto per quasi una settimana, in centinaia.
Sono riusciti a mandarci via, ma abbiamo resistito con tutte le nostre forze.
Cosa è rimasto di quei giorni?
Dov’è lo spirito che ci aveva portato a lottare qui, uniti?”
“È ancora qui.”
Hafez rivolge lo sguardo ai due ragazzi di fronte a lui.
Erano lì in ascolto reverenziale, incuriositi da quei racconti di resistenza.
“Yalla ya shebab, è ora di mettersi al lavoro!”.
I ragazzi prendono le vanghe e iniziano a pulire gli interni di quella casetta di fango e paglia che si erge in quel luogo sperduto.
“Lo vedi Mahmoud?
Questa nuova generazione di ragazzi crede nel cambiamento.
Sogna la fine dell’apartheid.
E non resta con le mani in mano.
Forse non vedranno la fine di tutto questo, come non la vedremo noi.
Ma guardali come si impegnano questa sera.
Sanno che sistemare questa casa è un atto di resistenza.
Hanno risposto alla richiesta di aiuto del proprietario, perché credono sia giusto farlo, perché vedono molto più in là.
Hanno imparato cosa significhi resistere all’occupazione, per prevenire ad esempio che anche questo luogo venga inglobato in una colonia, o nella base militare poco più in là.
Sanno che il lavoro di questa sera è un piccolo tassello in questa lotta, ma è parte della lotta.
Hai visto i loro occhi mentre ti ascoltavano Mahmoud?
Ecco lo spirito di quei giorni, non è mai morto”.

Il villaggio di Ein Hajla, non lontano da Gerico, rientra nella cosiddetta area C, come gran parte della Valle del Giordano. Venne abbandonato dai residenti durante la guerra del 1967, secondo un’altra versione, fu evacuato con la forza dall’esercito israeliano.
In prossimità del villaggio, si trova il monastero di Deir Hajla di proprietà della chiesa ortodossa. Una base militare israeliana è stata costruita su quel terreno.
Nel 2014, la rete dei comitati popolari di resistenza nonviolenta lanciò la campagna “Mehl Al-Ard” rioccupando Ein Hajla, nel rifiuto della politica d’occupazione israeliana volta ad annettere la Valle del Giordano.
Un’azione di protesta nonviolenta contro l’oppressione del popolo palestinese, a cui parteciparono attivisti da tutta la Cisgiordania che ripopolarono il luogo per circa una settimana.
Vennero riparate e ricostruite case abbandonate, piantati alberi, organizzate attività culturali di sensibilizzazione sulla situazione palestinese.
L’esercito israeliano rispose negando l’ingresso di viveri e acqua per gli attivisti, stabilendo posti di blocco lungo l’autostrada principale per impedire ad altri di unirsi alla campagna. L’azione venne ben presto repressa, con l’irruzione dell’esercito israeliano nel villaggio. Lo sgombero fu molto violento e decine di attivisti furono picchiati e finirono in ospedale a causa delle ferite riportate.