VISIT PALESTINE: CARTOLINE DAI TERRITORI OCCUPATI / 16

Sarura - Sumud Freedom Camp

Hammoudi esce dalla grotta e guarda il panorama intorno a lui: il tramonto dipinge le colline di un colore violaceo, il vento soffia delicato diffondendo il profumo del narghilè.
Sembra un momento magico se non fosse per l’avamposto israeliano che con arroganza rompe l’armonia di quel panorama. Si trova in linea d’aria proprio davanti a Sarura, come se volesse rendere impossibile alle comunità palestinesi dell’area dimenticare di vivere sotto occupazione.
Lo sguardo di Hammoudi si sposta sulla grotta accanto e sul quel che rimane del bagno costruito appena più in là dopo che i bulldozers israeliani lo hanno demolito.
È la terza volta che lo rimettono insieme.
Nei prossimi giorni lo sistemeranno, e probabilmente fra pochi giorni, settimane o mesi, i bulldozers torneranno.

Dalla grotta accanto sente la voce di suo zio che racconta le storie sul vecchio villaggio di Sarura, quando era ancora abitato da famiglie di pastori, le stesse storie che suo padre aveva raccontato a lui.
La grotta è stata disabitata per anni, i lavori per sistemarla sono stati lunghi.
Hammoudi ricorda la prima volta che ci mise piede: era solo un buco pieno di polvere e terra, impensabile che qualcuno potesse viverci.
Poi l’hanno ingrandita e pavimentata, hanno costruito un bagno esterno e realizzato anche un ampio cortile con una panchina a muro che lo circonda.
Durante i lavori è stata la casa di Hammoudi e dei suoi compagni: per due anni hanno vissuto in quella grotta.
Si sono organizzati per mantenere un presidio permanente, affinché ognuno potesse far visita alle rispettive famiglie, andare all’università, a scuola, al lavoro o semplicemente prendersi una pausa.
Le poche volte che il presidio era rimasto scoperto, anche per poche ore, i coloni avevano fatto irruzione e distrutto tutto.
Per due anni hanno subito attacchi, sono stati svegliati nella notte dai soldati, sono stati arrestati, hanno cercato di impedire la confisca dei generatori, degli strumenti di lavoro, dei materassi sui quali dormivano.
I militari israeliani hanno provato in tutti i modi ad ostacolarli, fin dall’inizio, eppure Hammoudi e i suoi compagni sono rimasti fino a che i proprietari della grotta sono tornati, e i lavori si sono spostati nella grotta accanto.
Sarura era un villaggio compreso nel piano di occupazione militare e civile israeliana, che prevedeva di espropriare le terre e allontanare le comunità palestinesi dell’area; era disabitato e viveva solo nella memoria, ma ora è tornato alla vita.
Lo sguardo di Hammoudi si sposta sulle bandiere della Palestina che danzano fiere nel vento.
Sullo sfondo l’avamposto di Havat Ma’on osserva Sarura, raccogliendo le memorie delle violenze perpetrate e ricordando che ce ne saranno altre; ma Sarura, tornata alla vita, sostiene lo sguardo dell’avamposto, ricordando a sua volta che la resistenza nonviolenta continua, e funziona.


Il 19 maggio 2017 una coalizione di attivisti palestinesi, israeliani e internazionali fa rinascere il villaggio di Sarura, abbandonato negli anni ‘90 a causa della violenza dei coloni.
Quella che si immaginava un’azione temporanea si trasforma in un presidio permanente, vissuto giorno e notte dai giovani delle Colline a Sud di Hebron, che si impegnano a ricostruire, con mezzi propri, le grotte del villaggio, per riportarvi a vivere stabilmente le famiglie che se ne sono dovute andare.
Il Sumud Freedom Camp attira l’attenzione di tutta l’area, diventando oggetto continuo di aggressione da parte di coloni e soldati, che più volte fanno irruzione, arrestano i giovani che vi abitano e sequestrano ciò che vi è al suo interno.
Dall’esperienza del Sumud Freedom Camp nasce il gruppo di attivisti di Youth of Sumud, composto da ragazzi e ragazze dell’area, che decidono di vivere nelle grotte del villaggio di Sarura, così da abitarle in attesa che i proprietari vi facciano ritorno.
Il presidio e i lavori all’interno delle grotte sono solo una parte della resistenza portata avanti dai giovani di Youth of Sumud, che iniziano a condividere in tutta la Cisgiordania la loro esperienza di resistenza nonviolenta.