VISIT PALESTINE: CARTOLINE DAI TERRITORI OCCUPATI / 17

Umm Al Khair -   Vicini pericolosi

Si sente un tonfo nel cuore della notte.
Poi un altro.
Un altro ancora.
Qualche bambino inizia a piangere. Ci svegliamo di soprassalto. Uno ad uno gli adulti si precipitano fuori dall’uscio, si guardano ancora assonnati.
Nel frattempo, i colpi si fanno sempre più forti, le pietre lanciate più grosse e raggiungono le prime case e gli ovili. Il villaggio è ormai sveglio, terrorizzato e stremato da notti insonni per via di questi continui attacchi. Alle 2 esatte iniziano a piovere pietre dalla vicina colonia. Da settimane.
La gente corre verso la tenda degli internazionali, posta proprio vicino alla recinzione che separa il villaggio palestinese dalla colonia. Con i volti esausti corrono alla ricerca di una risposta. Qualcuno urla di chiamare la polizia. Una pietra per poco non colpisce in pieno un anziano signore. Proviamo di nuovo a sporgerci dalla tenda per individuare il colono, ma ci ritiriamo subito quando un sasso viene scagliato proprio vicino a noi.
I colpi si fermano per un attimo.

La polizia israeliana arriva, ma non nel villaggio. I fari della jeep dall’altra parte della recinzione ci accecano. Un poliziotto sbraita dal megafono nella nostra direzione. Eid si avvicina per spiegare l’accaduto, con pacatezza. Senza ragioni il poliziotto inizia ad urlare, e lo minaccia di arresto. La jeep se ne va.
Pochi minuti e ricomincia la gragnola di pietre.
Proviamo di nuovo a individuare da dove provenga questa violenza. Ma è troppo buio e il vigliacco si nasconde tra la vegetazione della colonia.
Rimaniamo allibiti di fronte all’insensatezza degli eventi. Abbiamo la macchina fotografica in mano, il nostro principale strumento per contrastare l’ingiustizia, ma ora non possiamo usarla. Siamo nudi, inutili, mentre continuano a piovere pietre. Il senso di impotenza ci attanaglia, ci prende alla gola quando vorremmo urlare che tutto dovrebbe andare diversamente, quando di fronte a un’ingiustizia vorremmo avere la capacità di farla cessare. Ma non ne siamo capaci, la bestia da affrontare è molto più grande di noi. Gli occhi si guardano, esasperati. C’è una domanda che riecheggia in quel momento di disperato silenzio. Cosa potremmo fare ancora?
Resisti, anche se a volte non si sa più come resistere a tutto questo.

Umm Al Khair è un villaggio beduino nelle colline a sud di Hebron. I circa 150 residenti sono rifugiati, discendenti del clan Al Hadhaleen espulso dalle forze militari israeliane dall'area di Tel Arad e trasferitosi in Cisgiordania nel 1948. La continua espansione di Israele costrinse la tribù beduina, che si vedeva interrotti i vitali sentieri di pascolo, ad acquistare un pezzo di terra da residenti di Yatta, città palestinese, e quindi a stabilirsi nell’area di Umm Al Khair verso la fine del 1969.
Nel 1981 l'insediamento israeliano di Carmel venne costruito accanto al villaggio, cambiando drasticamente la vita dei residenti. Una recinzione e pochi metri separano la colonia illegale dalla comunità, vittima di quotidiani soprusi da parte dei vicini. L’espansione dell’insediamento è lenta ma inarrestabile e comporta l’esproprio di terra palestinese, vitale per la comunità beduina dedita alla pastorizia.
A dispetto dei servizi di cui gode la colonia, l’amministrazione civile israeliana non solo impedisce alle famiglie beduine di costruire strutture abitative, ma negli anni ha incessantemente rilasciato ordini di demolizione che pendono attualmente sulla quasi totalità delle strutture della comunità. Ad oggi quasi ogni edificio della comunità è stato demolito e ricostruito almeno una volta.
Se tradizionalmente le comunità beduine migrano stagionalmente, questo è ora impossibile in regime di occupazione, sia per la consistente limitazione della libertà di movimento, sia perché lasciare il villaggio, anche se per un breve periodo, comporterebbe il rischio che l’amministrazione civile dichiari la terra abbandonata e disabitata a favore dell’espansione coloniale.