VISIT PALESTINE: CARTOLINE DAI TERRITORI OCCUPATI / 18

Khan Al Ahmar - Piano E1

Hussem osserva la vita che lo circonda: c’è chi parla vivacemente, chi gioca a carte, chi balla, chi sorseggia il tè, chi parla di fronte a una telecamera rispondendo a giornalisti e inviati televisivi.
C’è un continuo via vai di persone giorno e notte per non lasciare mai scoperto il presidio che ha preso vita all’ingresso del villaggio, proprio accanto alla “Scuola di Gomme”, che dalla sua costruzione è diventata il simbolo di Khan al Ahmar.
Ormai è sera e la giornata è trascorsa tranquilla: niente bulldozers, niente polizia, niente esercito, niente arresti. Forse le IDF (Forze Armate Israeliane) hanno deciso di concedere un giorno di tregua per permettere a Khan al Ahmar di leccarsi le ferite dopo la giornata di ieri, o forse avevano altro da fare.
Hussem si alza dalla sedia tutto dolorante. Si sposta sotto la luce artificiale di un faro e si alza la maglietta. Il livido sul fianco destro si sta allargando, sta diventando violaceo e decisamente più doloroso, tanto che ormai è diventato faticoso alzare il braccio destro.

Erano tutti tranquilli, come ora. Poi un gran frastuono. La polizia e l’esercito israeliano comparvero dal nulla con quattro bulldozers al seguito. Hussem e tutti quelli che erano sotto quel tendone si alzarono, correndo verso il convoglio. La polizia iniziava a spintonare, buttare per terra e picchiare chiunque capitasse a tiro.
Chi riusciva a oltrepassare la linea di poliziotti e soldati si posizionava davanti ai bulldozers per impedire le demolizioni. Hussem stava per raggiungere uno dei bulldozer, quando si sentì tirare dalla maglietta e cadde a terra.
Forse il livido nasce da quella caduta, oppure dai calci seguiti all’impatto con la terra. Non ricorda esattamente. Dopo poco si trovò immobilizzato: pancia in giù, mani bloccate dietro la schiena da un ginocchio che lo schiacciava contro il terreno arido. Tra la polvere vide suo cugino trascinato via da due poliziotti. Forse si sarebbero rivisti in cella, pensò Hussem.
Poi la pressione sulla schiena scomparve, le mani erano libere di muoversi. Hussem si alzò e si girò di scatto, voleva vedere in faccia chi era lì per distruggere la sua casa, chi lo voleva arrestare. Quando si girò però si trovò circondato da un gruppo di donne che continuava a ripetergli di allontanarsi. Appena dietro di loro vide Mariam, la sua vicina di casa, che urlava contro un poliziotto, lo stesso che Hussem voleva guardare dritto negli occhi. Poi vide il poliziotto spintonarla e afferrarla per il velo, che si sciolse e cadde a terra.
Una pacca sulla spalla lo riporta alla realtà, Hussem saluta frettolosamente suo zio e si sistema la maglietta. Inizia a camminare in direzione della scuola tra i bambini urlanti che si rincorrono ridendo. Osserva l’edificio
e pensa che alla fine, nonostante i piani di Israele, gli arresti e i lividi, nonostante l’umiliazione di una donna che viene svelata con la forza in pubblico, la scuola, con le sue pareti di gomma, c’è ancora, come ci sono ancora le tende e le baracche del suo villaggio.

Khan al Ahmar è uno dei 45 villaggi beduini che si trova nei 12 km che separano Gerusalemme da Ma’ale Adumim, colonia israeliana di circa 37.000 abitanti. Tutti i villaggi palestinesi di quest’area sono da anni sotto costante minaccia di demolizione e trasferimento forzato delle popolazioni (circa 3.700 beduini, la metà dei quali bambini) a favore del piano di sviluppo E1, un progetto di insediamento che mira a creare un blocco urbano israeliano tra Ma’ale Adumim e Gerusalemme.
La realizzazione di questo progetto, che rappresenta una grave violazione del Diritto internazionale, nel concreto rafforzerebbe il controllo di Israele su Gerusalemme est, schiacciando i suoi distretti palestinesi tra quartieri e colonie israeliane; l’insediamento interromperebbe la contiguità territoriale tra la Cisgiordania settentrionale e meridionale, limitando ulteriormente la libertà di movimento dei palestinesi e di fatto dividendo la Cisgiordania in due.