VISIT PALESTINE: CARTOLINE DAI TERRITORI OCCUPATI / 21

Gerusalemme – Città negata

Sumaya riguardava il percorso da fare, dopo aver passato il checkpoint. In circa 15 minuti sarebbe arrivata all’ambasciata americana e avrebbe potuto richiedere il visto per gli Stati Uniti. Un taxi la aspettava fuori dal checkpoint, tutto era stato studiato nel dettaglio. Aveva ricevuto un permesso di 3 ore per entrare a Gerusalemme, non un minuto più. Doveva farcela.
Alle 9 doveva essere al checkpoint 300 a Betlemme. Era partita da casa sua, al Sud, tre ore prima, con un largo anticipo. Come previsto, diversi controlli israeliani l’avevano trattenuta, e invece di mezz’ora aveva impiegato quasi due ore per arrivare, ma finalmente Sumaya stava passando i controlli. Osservava gli ufficiali israeliani guardare il suo permesso, esaminarlo approfonditamente. Dietro di loro, un orologio scandiva inesorabile i minuti: tempo che non avrebbe potuto usare a Gerusalemme.

Alle 9:30 finalmente era salita sul taxi e poco dopo era all’ambasciata. Le restavano solo due ore. Altri ufficiali controllavano il suo passaporto, le chiedevano perché fosse lì, cosa dovesse fare negli Stati Uniti. Si sentiva quasi in colpa, e quello sguardo di sospetto non era diverso da quello degli ufficiali israeliani che poco prima le avevano fatto le stesse domande.
Poi Sumaya era salita al piano superiore, dove si era seduta in silenzio, in attesa del suo turno. La finestra mostrava uno scorcio di Gerusalemme: si vedeva la città vecchia, la moschea di Al Aqsa, il suq. Non era la prima volta che la vedeva; c’era già stata solo un’altra volta con suo fratello, anni prima. Purtroppo lui non avrebbe mai più potuto vedere quei luoghi: manifestare contro l’occupazione aveva reso impossibile  ottenere un permesso, e si sarebbe dovuto accontentare della foto che Sumaya stava scattando.
La cupola d’oro brillava alla luce del sole di giugno. La ragazza sospirava, osservava le mura della città vecchia e si immaginava lì a camminare tra i vicoli antichi, tra le voci dei mercanti e gli odori delle spezie. Si immaginava di arrivare ai piedi della grande moschea, e fermarsi per minuti, ore, forse giorni, nel grande spiazzo attorno alla stessa. Dalla finestra intravedeva i turisti stranieri che affollavano le vie, liberi di muoversi senza restrizioni, di sostare, di scattare fotografie e di visitare ogni angolo della città proibita ai Palestinesi come suo fratello. Beati loro, pensava. Sumaya sapeva che per lei sarebbe rimasto soltanto un sogno: Israele non le avrebbe mai dato abbastanza tempo per visitare Gerusalemme. Tre ore non bastavano per richiedere un visto, figurarsi per visitare quell’immensa città.
Erano passate tre ore, quando Sumaya passò nuovamente il checkpoint; suo padre e suo fratello erano dall’altra parte ad aspettarla. Rimase in silenzio, dopo aver detto che no, non aveva il visto, le era stato negato. Poi prese il proprio telefono e mostrò le foto che aveva fatto dalla finestra dell’ambasciata, mentre aspettava. Le immagini che scorrevano erano l’unica consolazione che le era rimasta. L’unico ricordo di quella Gerusalemme che aveva tanto sognato.

Lo Stato israeliano controlla tutti i punti di ingresso e di uscita della Cisgiordania, compresi quelli che portano a Gerusalemme Est. Durante la prima intifada Israele ha istituito un sistema che, ancora oggi, impone a tutti i palestinesi residenti nei Territori Occupati di richiedere un permesso per entrare a Gerusalemme, per qualunque motivo: lavoro, cure mediche, visite familiari, viaggi in luoghi religiosi o culturali. Israele non ha mai chiarito pubblicamente i criteri che regolano il sistema di questi permessi, pertanto non c’è modo di valutare le tempistiche del rilascio, né la possibilità o meno che le domande vengano approvate. Essere sulla lista nera dell’intelligence israeliana - che detiene il potere finale di rilasciare o meno i permessi –  porta al respingimento della richiesta per “motivi di sicurezza”. Quando vengono rilasciati i permessi sono comunque temporanei e possono essere revocati in qualsiasi momento qualora si verifichi un problema che, secondo le autorità israeliane, possa giustificarne la sospensione.
Israele usa questo sistema di controllo non solo per impedire ai palestinesi di entrare a Gerusalemme e in Israele, ma anche per monitorare tutti i viaggi all'estero dalla Cisgiordania, che richiedono un’approvazione israeliana.
Il sistema dei permessi è solamente una delle strategie dell’occupazione che, oltre a violare il Diritto alla libertà di movimento, punta alla segregazione, al contenimento e al controllo della vita dei palestinesi.