Contesto generale

I Mapuche sono uno dei popoli nativi più numerosi di Cile e Argentina.
Si stima che circa un milione di persone in Cile si definisca tale.
A differenza di altri popoli originari, vittime di genocidio ed etnocidio durante la colonizzazione spagnola del continente, il popolo Mapuche è riuscito ad arrestare l’avanzata dei conquistadores, stabilendo, con una serie di trattati, un territorio di autonomia che si estendeva per tutto il sud, dal fiume Bio Bio (nel centro dello Stato attuale).
Questo riconoscimento è riconfermato anche dopo l’indipendenza cilena nel 1818.
È dagli anni 50 dell’800 tuttavia, che il governo centrale cileno inizia a programmare la graduale annessione del Wellmapu, cioè le terre Mapuche e le più fertili della regione, prima legittimandola attraverso leggi, poi fomentando la criminalizzazione del popolo nativo come ostacolo allo sviluppo dello Stato e infine dal 1861 al 1883 avviando una campagna militare chiamata “Pacificazione dell’Araucanía”.
“Pacificazione” che è di fatto una vera e propria occupazione e un nuovo genocidio laddove gli spagnoli non erano a suo tempo riusciti e che getta la prima base di sfiducia e conflitto tra Mapuche e stato-nazione.
Alle famiglie sopravvissute all’occupazione furono concesse terre ampiamente ridimensionate e appena sufficienti per la sussistenza, impedendo l’accesso agli ancestrali beni comuni (foreste, fiumi…) e stabilendo parallelamente grandi latifondi di coloni, spesso europei.
Oggi, molti di quei latifondi sono passati nelle mani di grandi imprese nazionali e transnazionali che in Cile, come in generale in America Latina, gestiscono i principali monopoli di materie prime e risorse naturali, secondo un modello estrattivista rafforzato durante la dittatura di Pinochet dal 1973.
È durante il regime, infatti, che il Cile diventa campo di sperimentazione del neoliberismo statunitense e le maggiori imprese e risorse (compresa l’acqua) vengono privatizzate a favore di imprese e corporazioni multinazionali.
Imprese del legname e derivati (empresas forestales), piscicoltura e allevamento intensivo di salmone (salmoneras), miniere, mono-coltivazioni agricole, progetti energetici come idroelettrico e eolico: oggi sono questi alcuni dei principali pilastri di potere contro cui le comunità Mapuche si scontrano nella richiesta di restituzione delle loro terre ancestrali.
Negli anni della dittatura, quindi, il despojo (spoglio) delle terre Mapuche e la loro discriminazione etnica si è rafforzato, culminando in sfratti forzati e persecuzione politica: la stessa Costituzione del 1980, in vigore ancora oggi (giugno 2022), non riconosce l’esistenza del popolo Mapuche e degli altri popoli originari in Cile.
Dal 2021 è iniziato un processo costituente di scrittura di una nuova Costituzione che includerebbe, se approvata a settembre 2022, parti dedicate ai diritti specifici dei popoli indigeni e della natura.
In generale, soprattutto a partire dagli anni ‘90, lo Stato cileno ha iniziato a includere il tema nella sua legislazione, emanando per esempio una Legge Indigena e creando la Corporazione Nazionale per lo Sviluppo degli Indigeni (CONADI) con il compito di porsi come mediatore tra Stato e comunità nella compera e restituzione delle terre ancestrali, di promuovere l’educazione e contribuire a diffondere la loro cultura.
Nel 2008, inoltre, il Cile ha ratificato la Convenzione sui Diritti dei Popoli Indigeni, la Convenzione ILO 169 che in particolare prevede l’impegno dello Stato a consultare le comunità indigene e includerle nei processi decisionali riguardo progetti nei territori ancestrali (Land Rights).
Tuttavia, sia l’applicazione effettiva della Convezione ILO 169, sia l’efficacia della CONADI sono molto discusse e criticate sia dalle comunità stesse, che da ONG e parti internazionali.
Nella prassi, grandi progetti estrattivi sono approvati giornalmente bypassando i sistemi di valutazione dell’impatto ambientale e l’impegno all’inclusione e coinvolgimento delle comunità locali. In questi processi poco trasparenti, spesso la CONADI è direttamente coinvolta e fatica a rispondere alle reali richieste di restituzione delle terre.
È in reazione alla depredazione degli ecosistemi naturali e al sentimento di un debito storico sulla terra che dagli anni ‘90 si è intensificata la pratica di “recuperación” (recupero o rivendicazione) delle terre da parte di molte comunità Mapuche che rioccupano territori gestiti da coloni e imprese per restituirli all’uso consuetudinario e comunitario.
È in questi anni che il popolo Mapuche inizia a ricostituirsi come tale, organizzandosi in alleanze e coordinamenti, inaugurando una bandiera comune, media indipendenti e portando avanti di fatto una lotta politica, non solo etnica o culturale come spesso è presentata.
Recuperazioni, sabotaggi e incendi di macchinari d’impresa, rivitalizzazione della lingua mapudungun, scioperi della fame degli arrestati (presos politicos) e altri metodi più o meno pacifici, fanno tutti parte dei variegati percorsi con cui le comunità Mapuche cercano di riaffermare la propria autodeterminazione e autonomia.
Il popolo Mapuche lotta per essere riconosciuto, per la propria identità culturale, perché i figli possano accedere ad un’educazione nella loro lingua nativa, perché ci sia un risarcimento anche materiale contro tutte le sottrazioni di terre ancestrali.
Tuttavia, questo fermento politico e culturale ha nel tempo ricevuto una risposta repressiva da parte dello Stato, che parte da una forte e capillare criminalizzazione mediatica.
Le strategie di criminalizzazione sono inoltre diventate particolarmente evidenti con la crescente applicazione contro i Mapuche della cosiddetta “Legge antiterrorismo” ideata in tempi di dittatura: una pratica denunciata più volte da attori nazionali e internazionali, tra cui la Corte Interamericana dei Diritti Umani.
Il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha affermato che in Cile esiste un “modello di violazioni sistematiche” contro i Diritti del popolo Mapuche, mentre il rapporto 2017-2018 di Amnesty International esprime preoccupazione per l’uso eccessivo della forza della polizia e per l’impunità a loro riservata anche nei confronti di minori.
Oggi il conflitto si concentra principalmente in Araucanía, la regione con più alto tasso di povertà del Paese e storicamente più degradata da attività estrattive di grandi imprese, dove ormai da anni è riconfermato dal governo lo stato di eccezione.
Uno stato di emergenza che implica forte militarizzazione con droni, carri armati, aerei senza pilota, oltre mille poliziotti dispiegati e radar geo referenziati.