Speciale Libano - Siria

Storia di H: le marce, la ribellione, la guerra, l'incubo

Figlio di un comunista, più volte in carcere, prima delle manifestazioni io e lui ci dividevamo per non essere catturati insieme.
Studiavo inglese e facevo il cameriere, poi sono cominciate le proteste, sempre più numerose.
Non hai idea del senso di potere che da' partecipare ad una marcia con 25.000 persone che urlano insieme: libertà!
Niente è paragonabile, aspettavamo tutta la settimana il giorno della manifestazione.
Poi è cominciata la lotta armata, noi pensavamo alla resistenza italiana, una nostra brigata aveva addirittura dei manifesti delle brigate rosse.
Non avevo i soldi per comprarmi un fucile, così sono diventato cameraman per una brigata dell'esercito libero, filmavo le loro azioni, ho ripreso anche una esecuzione, credo fosse una persona che aveva compiuto cose terribili, ma non volevo farlo, all'inizio mi stupivo che non mi facesse
effetto, dopo, giorni dopo, non riuscivo a smettere di pensarci.
Ho visto cose pazzesche, persone sventrate, con le viscere fuori, stragi, cadaveri.
Ad un certo punto non ho più retto, sognavo di scappare, sognavo la mia ragazza.
Avevo crisi di pazzia, urlavo, sai cosa significa mangiare sotto un bombardamento di obice, con la paura di essere ucciso?
Avevo paura di essere mutilato, di perdere un braccio come ho visto succedere ad altri, di perdere le mani e non poter più suonare la chitarra, il mio sogno è di imparare a suonare la chitarra, il flamenco, lo adoro.

Nell'esercito libero ci sono persone davvero molto coraggiose, non hanno paura di nulla, io non avevo fiducia in un capo, secondo me tradiva la rivoluzione, dovevamo prendere una zona e lui si era fatto corrompere dal regime e non voleva avanzare.
Gli altri gruppi, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante ad esempio non fa nulla, controlla  un territorio e rapisce le persone, come con padre Dall'Oglio... credo sia vivo, così mi hanno detto amici che sono laggiù.

Come ho mantenuto la mia umanità? La guerra non è di questo pianeta, l'unica cosa che si può dire della guerra è che deve finire subito.
Mi ha aiutato leggere  "11 minuti" di Paulo Coelo, mi sentivo come la ragazza del libro, dentro un incubo, ora, come lei che smette di prostituirsi, io voglio una nuova vita, con la mia ragazza... il Libano, oggi, mi pare un posto meraviglioso.

Mentre parla, sembra un bambino che racconta una incubo terribile, chiede che non sia vero, gli occhi scuri, da indio, diventano profondi, poi ridono, la gioia di chi ha avuto una seconda possibilità.

Una nuova vita, senza guerra.
Il sogno di tutti quelli che abbiamo incontrato.

Speciale Libano - Siria

Stamattina siamo a nord di Tripoli, nella zona di Bebmin, cerchiamo i campi profughi illegali.
Nel primo vivono alcune decine di persone scappate due mesi fa da Homs.
Un breve momento per spiegare che vorremmo sapere come stanno, cosa hanno passato e cominciano: non vogliamo soldi o cibo o case, chiamate Obama e chiedete che cacci Assad... lo sguardo gira verso le tende, povere e lacere, come a dire: oggi siamo solo questo.
Poi le violenze, le uccisioni di hezbollah, i bombardamenti dell'esercito siriano, l'esercito ribelle unica difesa per loro... e oggi qui, in questo terreno a pagamento, 150 euro per pochi metri di terra su cui alzare una tenda, e il lavoro, al massimo 10 dollari a giornata, per scavare e scaricare, spalare, 12 ore di lavoro; gli aiuti minimi, 30 dollari al mese, in Libano la vita costa come in Italia... da voi, in Italia neppure gli animali vivono come noi, ci dicono.

Dentro me qualcosa mi dice, smetti di girare, cercare, fermati. Non aggiungere altri volti, altre storie, che non si sfochino e diventino confusi. Perché cerchi i profughi, fai raccolta del dolore degli altri? meglio loro che noi? ti consoli così?
No, la guerra la sanno, la capiscono davvero solo loro; e anche il segreto dell'amore, quello che ferma la guerra; io ho tutto e loro nulla, ma tra loro mi riconosco; anche la mia Patria è perduta e lacerata, il Paese della convivenza, della nonviolenza in cui voglio tornare è lontano, con innumerevoli esuli che lo sognano e nel suo nome vivono e lottano.
E siamo vivi, possiamo agire, star loro vicini.
C'è una vita ed una gioia e una guarigione che non so spiegare in questo incontro.


Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio.
M. Darwish

Speciale Libano - Siria

Oggi siamo a pochi kilometri dal confine con la Siria, sulla strada che porta a Damasco.
Visitiamo il campo di tende provvisorio di Zahle.
Il libano non vuole campi profughi, intende assorbire i rifugiati nelle case, ufficialmente per non ricreare i problemi avuti con i palestinesi anni fa.
Il risultato è che gli affitti sono diventati altissimi.
A Zahle ci accompagna una cooperante della Caritas.
Il campo, di una ventina di tende, per legge non possono essere più grandi, contiene alcune decine di famiglie arrivate dalla zona di Aleppo, per lo più contadini che non potevano più lavorare le loro terre a causa dei combattimenti.
Il posto tenda, diciamo così, costa 150 dollari al mese, e lavorando come braccianti stagionali ne guadagnano 3 al giorno, chi sta perdendo davvero la guerra sono loro.
Sono arrivati, chi un anno fa, chi qualche mese fa, con tutta la famiglia.
Ci spostiamo nella zona di Baalbek, sotto controllo di hezbollah; il campo, fatto di tende con strutture di legno e teli ricavati da teloni pubblicitari e materiali recuperati, come il primo, da' l'idea di essere tranquillo ed integrato, fuori città le persone lavorano nell'agricoltura e sono qui da più tempo, anche loro vengono dalla zona di Aleppo.
Non stiamo con nessuno di quelli in guerra, ci dicono, vogliamo solo ritornare alle nostre case. L'ultima visita è a Chtaura, pochi kilometri dal confine; il tassista ci porta ad un piccolo campo di tende tipo canadesi, come negli altri casi veniamo accolti, scopriamo che sono palestinesi scappati dalla Siria, due volte profughi insomma.
La famiglia, a cui manca il padre perché alla frontiera con il Libano è stato respinto, ci accoglie calorosamente, ci offre da mangiare e dormire con loro, accettiamo.
Sono contentissimi di aver qualcuno con cui parlare, raccontare che sognano la Palestina, alcuni vogliono un letto, da mangiare, vestiti, io voglio la mia Patria, ci dice il figlio di vent'anni.
Il regime non è così male, noi eravamo trattati bene, come cittadini uguali agli altri.
Raccontano concitatamente, interrompendosi a vicenda con scoppi di risa; dove trovate questa allegria?
E' solo esterna, dicono, dentro siamo tristi, avevamo una casa grande, questo ora è il prezzo della libertà?
Indicano la tenda, leggera, e raccontano che qui ci hanno già passato un inverno, con un metro e venti di neve...
Non so perché, mi sento più a casa qui che nell'enorme e moderna Beirut.
A domani.
K


Ma la terra
con cui hai diviso il freddo
mai più
potrai fare a meno di amarla.
(Vladimir Majakowskij)

Speciale Libano - Siria

Giorno dopo giorno continuiamo ad ascoltare le storie di persone sfuggite alla guerra della Siria.
Qui in Libano cerchiamo, in pochi, in ritardo, con mezzi scarsi, qualcosa che tutti ci dicono che non c'è, una pace diversa da quella delle armi e dei cimiteri...
Siamo tornati nel campo profughi di Chatila, ci accompagna Eva, attivista siriana, ci ringrazia: grazie a Operazione Colomba forse diventerò insegnante-volontaria per questi bambini, è perché me lo avete chiesto voi che li ho contattati...
Andiamo poi a visitare alcune famiglie che ricevono aiuti umanitari.
E' forte il contrasto tra i vicoli scuri e sporchi del campo profughi e la pulizia e la lucentezza dell'interno delle case, la simpatia dei bambini.
I genitori sono segnati, sembrano tutti malati di un medesimo male, sguardi dolci e feriti.
Vorrei dirti una cosa, si, a te che stai leggendo queste righe, noi siamo qui anche per te.
Ci serve anche il tuo aiuto per capire come fermare questa violenza.
Quando vedo, vedo anche per te, la mia ambizione non è diventare un professionista dei conflitti, è diventare un essere umano vero, che sa soffrire del dolore degli altri esseri umani e sa far diventare questo pianto nutrimento per la nonviolenza che verrà: quando mi chiedo quale sarà la strada per far uscire la guerra, cioè la violenza omicida, dalla storia del nostro mondo, lo faccio anche a nome tuo. Domani saremo al confine con la Siria, sulla strada che da Beirut va a Damasco, ti farò sapere come andrà.

“Ci sono cose che solo gli occhi che hanno pianto possono vedere”.
Cristophe Munzihirwa

Speciale Libano - Siria

In giornata ci salta l'appuntamento con le persone del campo profughi di Chatila, ci andremo domani. Parliamo con un professore attivista da tanti anni, a cui facciamo la domanda da un milione di dollari: c'è qualche esperienza di nonviolenza in Siria che possiamo incontrare o sostenere? Si può entrare in Siria e proteggere i civili?
Ci racconta che solo il fronte antigovernativo è fatto di 120/160 gruppi, in buona parte divisi tra loro, e che nessuno può oggi garantire niente a nessuno.
Ci racconta della città di Yabrud, a nord di damasco, in cui la popolazione si autogestisce e non fa entrare forze armate.
Poi incontriamo una ragazza che si occupa di profughi e movimenti nonviolenti, anche a lei chiediamo idee, direzioni... è tardi, dice, ho paura che sia tardi ormai... ma ci farà incontrare una amica attivista appena arrivata dalla Siria, una tenue luce nel buio e nel rumore delle armi e della violenza.
E' sera ora a Beirut, siamo ospiti di una ragazza italiana, rimasta qui per non lasciare soli gli amici Siriani; durante il giorno insegna come volontaria inglese ai bambini Siriani.
Due immagini mi rimangono: la prima è di un gigante, vecchissimo e quasi sordo... la vedo così l'opinione pubblica italiana, un gigante che si è svegliato solo per un istante per la minaccia del bombardamento americano e ora sta ricominciando a russare... sempre che non sia morto.
La seconda sono le parole ascoltate poche ore fa: è tardi... ho paura che sia tardi ormai.
Non è tardi, mi dico, per incominciare a consolare, a sperare, a costruire una alternativa alla guerra, a partire dalla mia coscienza.

Quando non c’è più speranza, “quando cessano gli aiuti e manca la consolazione”, scopro che l’aiuto mi arriva, non so da dove.
Le suppliche, l’adorazione, la preghiera non sono superstizioni; sono azioni più reali che il mangiare, il bere, il sedersi o il camminare.
Non è esagerazione affermare che solo esse sono vere e tutto il resto è illusione.
Mahatma Gandhi


a domani...