Vent'anni di Colombe - il diario di K

Italia

Vent'anni fa, nell'estate del 1992, in occasione della guerra in Ex-Jugoslavia, nasceva Operazione Colomba. Gli inizi degli anni '90 verranno ricordati non solo per la caduta del Muro di Berlino e del blocco comunista, ma anche per la novità costituita dall'azione della società civile che rifiuta il ruolo di vittima e diventa protagonista di un'alternativa non armata e nonviolenta alla guerra.

Operazione Colomba nasce da un gruppo di obiettori di coscienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, all'interno di questo grande movimento popolare: se vi fosse capitato nel '92 di trovarvi alla frontiera di Trieste, tra Italia ed ex-Jugoslavia, avreste osservato con stupore le file di macchine che cercavano non di scappare, ma di entrare nella guerra; erano persone che andavano a trovare amici di cui non conoscevano la sorte, ragazzi che raccoglievano viveri per portarli fin dove era possibile arrivare; persone normali che di fronte a una guerra di difficile comprensione, capivano benissimo che la cosa giusta era la solidarietà; tra loro c'erano anche i primi volontari di Operazione Colomba.
Gli inizi degli anni '90 hanno ridisegnato anche il modello di difesa militare italiano e occidentale: l'esercito italiano è uscito dal territorio nazionale per difendere non più i confini e la popolazione ma gli interessi economici occidentali, ovunque nel mondo fossero minacciati.
Nascono in quegli anni gli anni gli interventi “umanitari” di guerra in Iraq, poi nei Balcani, poi in Afghanistan. Nasce in quegli anni anche la risposta nonviolenta della società civile: se è un'amara verità che le guerre attuali, a partire dalla seconda guerra mondiale, sono guerre in cui la popolazione civile è diventata un obiettivo militare, si parla del  95,97% di morti civili, allo stesso modo con l'intervento nonviolento civile nel cuore stesso della guerra, è cominciato il conto alla rovescia per espellere la guerra dalla storia.
In questi primi vent'anni con Operazione Colomba abbiamo dimostrato come semplici cittadini possono intervenire nel conflitto,  anche nella fase più acuta, entrare in città sotto assedio, vivere sul fronte sotto il fuoco nemico, vivere come profughi nei campi profughi, interporsi tra popolazioni che cercano di uccidersi, ricostruire fiducia e collaborazione dove pare sia rimasto solo odio e paura; senza armi, senza formazione accademica. Più di duemila volontari di tutte le parti d'Italia e non solo, tra cui in maggioranza donne e giovani di poco più di vent'anni, un nutrito gruppo di portatori di handicap, ha creato spazi di pace in mezzo al fuoco della guerra, ha salvato dalla violenza omicida delle armi persone come loro.
In questi primi vent'anni abbiamo capito che si può intervenire con la nonviolenza in ogni tipo di conflitto: abbiamo vissuto in Croazia sui fronti contrapposti e nei campi profughi, facendo incontrare le persone separate dalla guerra; in Chiapas abbiamo accompagnato la società civile nella resistenza alla violenza dei paramilitari, delle multinazionali e degli eserciti; in nord Uganda abbiamo condiviso la paura dei bambini di essere rapiti dai soldati e la speranza di chi voleva rientrare nelle proprie case dopo vent'anni di guerra; in Kossovo abbiamo imparato a stare dalla parte sbagliata, la parte di chi è minoranza e perde sempre, di chi è debole, ma sa immaginare un presente e  un futuro senza violenza. In Colombia abbiamo difeso leader popolari e chi non vuole uccidere né coltivare droga; in Palestina abbiamo accompagnato insieme a nonviolenti israeliani, pastori palestinesi che ritengono che non odiare richieda più forza e che non ci sono nemici nella lotta contro l'occupazione; in Albania stiamo tentando di aprire nuove strade di perdono e riconciliazione tra faide familiari che durano da decenni e uccidono vite e speranze.
Se il buon senso dice che dalla guerra bisogna scappare, in questi vent'anni abbiamo mostrato con umiltà e fermezza che nella guerra si può entrare e che la guerra la si può fermare, senza armi. La società civile italiana capisce, condivide e sostiene esperienze come Operazione Colomba: pur nella difficoltà non sono mai mancati i volontari e i mezzi, non ci è mai successo di chiudere una presenza in guerra o di essere costretti a smettere di proteggere qualcuno per mancanza di soldi o persone disponibili a partire.  
A livello politico abbiamo spesso trovato dei buoni compagni di viaggio a livello locale: Associazioni, Comuni, Province, a livello sovranazionale la Comunità Europea ha sostenuto e valorizzato questo tipo d'intervento; più difficile e meno fruttuoso è stato il dialogo con lo Stato italiano: da una parte c'è chi ritiene che la guerra sia inevitabile, a volte giusta o addirittura necessaria, dall'altra c'è chi si illude che alla guerra basti dire no, senza proporre, ricercare e attuare un'alternativa. Quando avremo dei politici che capiscono la sofferenza di chi subisce la guerra e sanno rischiare la propria carriera per trasformare l'intervento militare in intervento nonviolento civile?
I prossimi vent'anni vorremmo tanto fossero gli anni della nonviolenza, gli anni in cui quello che abbiamo vissuto in pochi e lontani dai grandi mezzi di comunicazione, diventasse patrimonio di tanti, di tutti, vorremmo fossero gli anni del risveglio completo della società civile. Pensate a un'intera nazione, l'Italia ad esempio, che si rifiuta di vendere armi, che è pronta a intervenire in massa senza violenza dove scoppia una guerra, che sa rispondere con la solidarietà e non con la paura e il rifiuto, a chi dalle guerre scappa;  pensate a una Chiesa che benedice e sostiene chi fa una scelta come quella di Operazione Colomba e nello stesso tempo con rispetto e fermezza toglie il suo sostegno allo strumento militare della guerra. Pensate a uno Stato e a una classe politica che dichiarano una moratoria completa di almeno dieci anni per gli interventi militari e in questi dieci anni sostengono e promuovono chi ovunque nel mondo sperimenta e vive sulla propria pelle alternative nonviolente alla guerra.
Non siamo sicuri di riuscirci, né siamo certi che non siano obiettivi troppo alti, siamo però certi che il vostro aiuto è indispensabile e che valga la pena vivere i prossimi vent'anni per avvicinare e rendere concreti questi sogni.

Alberto Capannini


Per festeggiare questi primi vent'anni vi aspettiamo il 28 e 29 luglio prossimi a San Lorenzo in Correggiano, a Rimini!