Intervista ad Alberto Capannini

Intervista tratta dal Settimanale "A SUA IMMAGINE"

Alberto è il tipico romagnolo dai modi simpatici e aperti. Pacato e tranquillo, sul volto gli leggi un candido stupore e vivo interesse quando gli parli. Sa ascoltare e scrutare nel profondo. Le sue parole sono dirette, nette, sincere…
Ha difficoltà a spiegare che lavoro fa. Quando qualcuno glielo chiede, risponde: “Organizzo gruppi di persone che vanno a vivere dove ci sono guerre, per abbassare l’odio, proteggere la gente, fermare i conflitti senza usare la forza”.

Alberto Capannini, 46 anni, sposato con Elena e padre di tre figli, è insieme a don Oreste Benzi uno dei fondatori dell’Operazione Colomba, che raccoglie i volontari di pace dell’Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini, attivi nelle zone di guerra. Attualmente sono in Palestina, Albania, Colombia e Libano. Cita a memoria intere frasi di Martin Luther King, in particolare questa: “Se un uomo non ha scoperto qualcosa per cui morire non ha ancora iniziato a vivere”.

Alberto, di solito si scappa dalle zone dove ci sono le guerre. Voi, invece, avete deciso di andarci a vivere. Perché?
Mi pare che avvenga uno scambio quando si vive con l'Operazione Colomba in una zona di guerra: i volontari con la loro presenza danno delle possibilità che altrimenti non ci sarebbero: di spostarsi, andare a lavorare, a scuola e, in cambio, ricevono un significato per la loro vita, un senso di utilità che credo manchi alla maggior parte delle persone che vivono nel nostro paese..

Ma quando nasce Operazione Colomba?
Nel 1992 con la guerra nella ex Jugoslavia, un piccolo gruppo di persone decide di andare a vivere sul fronte dietro Zara, tra serbi e croati, non sapevamo esattamente cosa fare, ma capivamo di non dover lasciare sole quelle persone, esposte ai bombardamenti, all'odio, alla violenza omicida. Ci sembrava che la nonviolenza non potesse rifiutarsi di entrare nelle guerre.

Com’è stato il tuo primo incontro con don Oreste Benzi?
Avevo 16 o 17 anni, lui viveva a Rimini come me, l'ho sentito parlare ad un incontro pubblico, mi ricordo come un pugno le sue parole: dio non ci giudicherà, i poveri ci giudicheranno. Ho pensato: questo lo devo incontrare..

Sostieni che i civili sono i veri obiettivi militari…
Certo, basta contare il numero dei morti nelle guerre degli ultimi decenni, si parla del 95 per cento di vittime tra i civili e il resto tra i militari; nessuno dice, ad esempio, che la guerra al terrorismo, dal punto di vista militare, si fa solo attaccando, uccidendo e sfollando la popolazione disarmata, come ad esempio in Colombia, dove abitiamo. Urgono soluzioni diverse da quella che fa fuori il malato insieme alla malattia...

Chi sono i ragazzi che si rivolgono a voi chiedendo di essere formati per poi partire in zone di guerra e rischiare la vita?
Io dico sempre che sono la meglio gioventù italiana, non guadagnano nulla, rischiano la vita per difendere quella di persone lontane, bruciano di passione per la giustizia, sono competenti, coraggiosi... Ma i giovani non erano egoisti e incapaci di sognare un futuro? forse io ho un punto di vista privilegiato, vedo gente impegnata seria e che non cerca il successo, cerca di capire per cosa vivere

Fino a oggi quante persone hanno preso parte ai progetti di Operazione Colomba?
Più di mille persone, in maggior parte giovani, donne.

Tu dici che l’amore è più potente dell’odio. Quando l’hai capito? C’è stata un’esperienza che ti ha fatto maturare questa “verità”?
Mah, con l'Operazione Colomba sperimento che l'odio deturpa le persone, toglie loro umanità, principalmente elimina la capacità di incontro con l'altro e quindi anche con se stessi. Dentro me invece trovo una sete di un amore più forte della morte, cioè che neppure la morte e la violenza possano cancellare. So che esistono rancore odio e paura, in me come negli altri, ma quando vedo, nelle persone con cui lottiamo, la capacità di non odiare, di non essere contagiati da rabbia e rancore, provo nostalgia per chi potrei essere e magari non sono, mi dico; io non so se sarò mai così, ma certo questo è un uomo vero.
Nel 2001, nel Congo in guerra, abbiamo insieme ad altre associazioni, organizzato una marcia internazionale che entrasse in quel conflitto, nessuno pareva interessato ai milioni di morti, uccisi da gruppi guerriglieri interessati ad oro, uranio e minerali strategici per la tecnologia del nostro mondo. Siamo arrivati al luogo dell'incontro con i rappresentanti della popolazione congolese civile in mezzo ad ali di folla che piangendo ci ringraziava di non averli dimenticati ; e infine lì, a Butembo, in Congo, sull'equatore, il capo di uno di questi gruppi militari ha chiesto pubblicamente scusa delle violenze compiute dalle sue truppe e di fronte alla folla che chiedeva di ritirare i guerriglieri dai propri villaggi lui li ha effettivamente ritirati. Non riuscivo a smettere di piangere quel giorno: è vero, è vero, mi dicevo, c'è qualcosa di più potente della violenza.

Cosa significa nonviolenza?
Opporsi con una forza morale ad una forza fisica. Toccare e risvegliare la coscienza dell'avversario a prezzo della mia e non della sua sofferenza, accettare che siamo profondamente interconnessi e che non posso disumanizzare l'altro senza disumanizzare me stesso, come dice Desmond Tutu. In breve credere e amare con forza, anche a dispetto della disponibilità altrui, l'umanità dell'avversario. Può sembrare rischiosa e ingenua, ma non dimentichiamo che in occidente noi siano esperti di guerra, non di pace, investiamo in esercito ed armi e interventi militari. Con i risultati che vediamo: Iraq, Libia, Siria, Afganistan

Nel quotidiano cosa significa agire in maniera nonviolenta?
In ogni casa, in ogni famiglia c'è un laboratorio di nonviolenza, se è vero che non risolveremmo mai con le armi, se non in caso di pazzia, i conflitti in cui ci troviamo. Ad un altro livello direi che molti conflitti sono collegati ad uno stile di vita nostro che depreda il resto del mondo, quindi è importante riflettere su che lavoro facciamo, quale banca utilizziamo, chi produce i vestiti che usiamo, da dove viene quel che mangiamo. Anche se oggi l'informazione si è drammaticamente sganciata dall'azione..

Parli anche della fragilità della nonviolenza…
Per distruggere un capolavoro di convivenza come Sarajevo è bastato un gruppo di nazionalisti armati, qualcuno che soffiasse su paure e rancori antichi. Ma è servito anche il menefreghismo e la passività e l'incompetenza dell'Europa e del mondo. Uno degli aspetti che più mi stupisce della nonviolenza è il fatto che non può esistere senza me, senza te, la responsabilità personale che chiede.

In un’intervista parli di un mondo in cui vince chi disimpara a odiare e non chi si arma, vince chi sa riumanizzare il nemico e non chi sa suscitare demoni assassini nel cuore di un padre di famiglia.
Ne parlo, ma non è un sogno è qualcosa che ho visto e sperimentato. Auguro a tutti una possibilità simile.

Hai detto che a partire dagli anni 90, con il conflitto nella ex-Jugoslavia, è cominciato un ticchettio. Quel ticchettio è il timer che segna l’inizio della fine della guerra. La guerra non funziona, è finita! Se quello che dici è vero, come giustifichi, spieghi lo spietato conflitto che da due anni affligge la Siria e che conta più di 100.000 vittime, di cui 7.000 bambini?
Il processo che porterà noi esseri umani a ripudiare la guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali non è automatico e non si realizzerà senza noi! Direi che vale la pena vivere per avvicinare quel giorno. Sulla Siria: sono appena tornato dai campi profughi siriani in libano e conto di ripartire a breve. Quel che sta accadendo non è forse la prova che la guerra è inumana e inaccettabile, che anche una protesta condivisibile quando prende le armi apre la strada alla barbarie? Che come italiani dovremmo vergognarci di essere stati fino a pochissimo tempo fa i principali mercanti di armi del governo siriano?