Senza via di scampo

Sempre – Giugno 2018

Nel 2018 gli sbarchi di migranti sulle nostre coste sono diminuiti dell'80% rispetto all’anno precedente. siamo andati oltre la libia, in niger, paese chiave del flusso migratorio, oggi divenuto un blocco invalicabile dove si sgretola ogni speranza.


UN PAESE SENZA VIE DI FUGA
Al nord del Niger oggi non si passa.
In Algeria c’è una sorta di “caccia al migrante”: chi tenta di attraversare il confine viene catturato, espulso a sud, e lasciato in mezzo al deserto. Anche verso la Libia il passaggio è bloccato.
Ma i migranti che vogliono venire in Europa in realtà sono solo una goccia nel mare di sfollati interni e migranti che restano stanziali in Niger.
Tantissime migliaia sono gli sfollati interni provenienti dalle aree di incursione a sud del Paese compiute dall’organizzazione terroristica jihadista Boko Haram, diffusa nel nord della Nigeria.

Chi scappa è costretto a vivere in condizioni terribili sia ad Agadez che Niamey, in rifugi di plastica:
sono quasi tutte donne con una media di 6, 7 bambini, una situazione drammatica.
I conflitti che circondano il Niger (Ciad, Mali, Burkina Faso, Nigeria), e le frontiere chiuse a nord (Libia e Algeria) ne fanno dunque un Paese che, così come l'Italia fino a poco tempo fa, deve affrontare una massiccia accoglienza da solo, ma in una condizione di povertà estrema.

SOLIDARIETÀ EUROPEA “AD INTERESSE”
L'Europa è intervenuta massicciamente in Niger per impedire che i migranti arrivassero in Libia e oltrepassassero il Mediterraneo, oltre che per garantire la sicurezza degli impianti estrattivi delle miniere di Uranio, che danno elettricità a mezza Europa ma lasciano senza elettricità il Niger (abbiamo potuto sperimentare come la luce sia a Niamey che ad Agadez venisse meno 7, 8 volte
al giorno, per mancanza di energia elettrica).
Si potrebbe dire che quella messa in campo attualmente è una sorta di "solidarietà ad interesse".
Al di là dei centri gestiti dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), il Niger langue in una povertà materiale estrema e accoglie tantissimi migranti e sfollati in cerca di pace che nulla hanno a che vedere con l'attraversamento del Sahel.
Occorrono scuole, ospedali, strade, infrastrutture e soprattutto lavoro, per dare sviluppo e affrancare il Paese dalla povertà e prevenire i conflitti: perché, come ha detto Papa Francesco, «se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra».
Le imprese che investono in Niger, ma i cui profitti migrano verso i Paesi ricchi, sono parte del problema.
Gli investimenti di questo tipo assumono forme predatorie che nulla hanno a che vedere con la cooperazione internazionale.
Solo passando da una solidarietà interessata ad una solidarietà fraterna l’Europa può costruire una pace duratura tra i popoli e risolvere alla radice l’emergenza migratoria.
di Laila Simoncelli

La confessione di un ex passeur
di Nicoletta Pasqualini

In un luogo nascosto ad Agadez, Laila e Gennaro hanno incontrato il presidente degli ex “passeurs”, quelli che, dietro pagamento, facevano passare il confine ai migranti.
«Il governo – ha raccontato – da un momento all’altro ha fermato questo traffico. I viaggi sono diventati illegali e chi viene scoperto rischia il carcere».
Una decisione, sostiene, presa senza dare nessuna prospettiva per chi viveva di questo lavoro.
Nel 2015 il Parlamento nigerino, incoraggiato dall’Europa e dalle promesse di aiuti economici, con una nuova legge ha dichiarato che trasportare i migranti è illegale.
Erano decine i pick up carichi di migranti pronti a partire ogni giorno da Agadez per raggiungere la frontiera libica a 800 chilometri di distanza.
Il lavoro del passeur rendeva molti soldi.
I pick up che servivano per il trasporto di esseri umani in Libia ora sono tutti sequestrati dalla polizia.
«Fuori la città è pattugliata dai militari.
Quindi le rotte che facevano solitamente i passeur non le possono più fare – continua a raccontare l’ex passeur –.
Se vengono scoperti vengono arrestati».
Questo però non ha fermato completamente il traffico verso la Libia, anche se si è ridotto. «I tempi di partenza si sono allungati in attesa del momento opportuno per attraversare il Sahel senza essere scoperti dai militari.
Tutto ciò ha fatto triplicare il prezzo della traversata. Si viaggia di notte per evitare i posti di blocco. Hanno trovato nuove rotte, ancora più pericolose, che causano ancora più morti».


I bambini di Niamey
Tra le varie forme di povertà incontrate nella capitale nigerina, colpiscono le centinaia di bambini che cercano di sopravvivere elemosinando qualche spicciolo, allungando il pentolino che portano legato al collo come una collana.
di Nicoletta Pasqualini

Gennaro Giudetti, 28 anni di origine tarantina, da qualche anno volontario di Operazione Colomba, Corpo Civile Nonviolento di Pace, ha compiuto questo viaggio esplorativo in Niger con Laila Simoncelli, avvocato ed esperto di immigrazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. Accompagnati da persone del luogo, membri di associazioni fidate e della Chiesa locale, hanno toccato città come Agadez e la capitale del Niger, Niamey.
Il Niger è una delle nazioni più povere al mondo con un tasso altissimo di natalità. «Sono centinaia i bambini che si aggirano per le strade della capitale – racconta Gennaro – senza la possibilità di andare a scuola».
Arrivano in città nella speranza di trovare un lavoro, che poi non c’è, rimanendo bloccati nella città.
«Ho incontrato uno di questi bambini, aveva 10 anni: chiedeva i soldi dell’autobus per tornare al villaggio dove aveva lasciato la sua famiglia. Aveva cercato inutilmente un lavoro e ora viveva nella miseria, senza un riparo dove dormire. Ma una volta tornato a casa, quasi certamente tornerà
in città, perché lì non c’è nessuna prospettiva».
Sono svariate le motivazioni per le quali questi ragazzini finiscono in strada. «Puoi trovare ragazzi che sono stati abbandonati dalle famiglie o scappati di casa perché i genitori li maltrattano, altri che hanno i genitori in carcere o addirittura non sanno neppure chi sono».
Sono piccoli invisibili che cercano di sopravvivere elemosinando qualche spicciolo, allungando il pentolino che portano legato al collo come una collana. «Vivono un po’ tutti insieme per strada, cercando spiccioli, rubando qualcosa o vendendo plastica, facendo attenzione a non essere presi dalla polizia, perché hanno paura di essere picchiati.
Calmano i morsi della fame sniffando colla, i cui veleni hanno effetti devastanti sulla loro psiche».