Corpi civili di pace. niente di fatto

Un anno di confronto col governo per il riconoscimento dei Corpi Civili di Pace non ha portato a nulla. Ora capisco che solo da una lotta può nascere qualcosa di nuovo

Sono arrabbiata perché il mio governo ha aumentato del 61 per cento l’export delle armi e del 23 per cento le spese militari negli ultimi due anni. Questo per me può significare solo una cosa: più guerre, più morti, più dolore, più ferite, più distruzione, più violenza, più fratture, più odio, più incomprensione, più frustrazione, più barriere e la negazione di ciò che ci rende più umani: l'amore.
Continua..

Per come è organizzato questo mondo la cosa che imparo ogni giorno di più è il fatto che la vendita di armi finanzia i conflitti nelle parti del mondo che noi occidentali consideriamo sottosviluppate o "in via di sviluppo". Ovviamente anche al concetto di sviluppo e di progresso abbiamo attribuito il nostro significato: quello basato sul consumo, sulle macchine più potenti, su comunicazioni più veloci, su informazioni flash, sul profitto, sull'individualismo, sul riempire il tempo, lo spazio, la vita di materia e di relazioni che durano il momento di un caffè.
L'uomo sembra che abbia smesso di cercare il suo senso più profondo e di chiedersi chi è.
A volte mi guardo allo specchio e mi dico: "svegliati!" perché se cominci tu poi cominceranno anche altri a rendersi conto che su questa terra è l'uomo che per primo deve cambiare e smetterla di ascoltare la futilità che logora i nostri tempi per "arrivare a sé stesso", come dice una cara persona che conosco.
Riattribuire il sacro valore della vita all'uomo, di questo c'è bisogno.
A volte percepisco una tale confusione intorno a me, la stessa che ormai non ci fa più capire dove stiamo andando e non ci fa più distinguere qual è il bene e qual è il male. E' tutto mescolato in un grigio informe com'è quello del cemento che ci circonda, mentre io preferisco i colori forti e le sfumature pastello. Quello che nutre l'uomo è ciò che nutre soprattutto il suo spirito.
Non voglio che le nostre generazioni si buttino via perché vanno a cercare ciò che gli manca nei posti sbagliati invece di guardarsi dentro e di vedere che oltre il vuoto c'è la dignità profonda che ci riempie, che oltre la morte c'è la vita che esplode, che oltre l'odio c'è un amore più forte, che oltre l'indifferenza esiste la solidarietà e il prendersi cura l'uno dell'altro, che per ogni parola c'è qualcuno che ti vuole ascoltare, che oltre la solitudine c'è il mondo, che ognuno è responsabile di ciò che fa e che non è vero che tanto non cambia niente, non è affatto vero; che oltre allo strumento della violenza c'è quello del dialogo, che le emozioni possono trovare spazio per costruire e non solo per distruggere.
Preferiamo ignorarci e convincerci di non valere abbastanza per evitare di superare la nostra passività. Tutti i giorni parlo e discuto coi miei genitori di come questo mondo governato dagli interessi privati violenti noi e il prossimo. E tutte le volte che ascolto una notizia o la leggo sul giornale penso a ciò che ci può essere dietro non solo alla notizia, per la maggior parte delle volte approssimativa e poco approfondita o per giunta falsa, ma anche all'avvenimento riportato e vi assicuro che le mie supposizioni sono per la maggior parte delle volte catastrofiche ed esatte. Derivano dal ragionamento fondato puramente sulla logica costi-benefici degli interessi personali del singolo o delle singole lobby travestite e rappresentate da singoli potenti o del singolo paese o delle mafie transnazionali o dei...comunque sempre singolo rimane e mai sento dire NOI.
Non sento dire quanti africani, pakistani, afgani etc. muoiono nelle guerre che il nostro sistema coloniale presentato sotto nuovi falsi strumenti gli porta, ma solo quanti italiani, scandinavi, francesi etc. abbiamo perso. Non sento dire che le guerre di oggi preparano il terreno per le guerre di domani. Non sento parlare di Verità: credo che il nostro sistema sia così impregnato di bugie a cui ci siamo ormai abituati che quando qualcuno prova a dirla ci meravigliamo. Non sento dire che il futuro si costruisce dal presente e che lo si fa pensando alle generazioni che verranno. Non sento parlare di un progetto comune. Non sento parlare le persone come me. Non sento parlare della quotidianità dei problemi delle persone. Non sento parlare di soluzioni ai problemi, non sento parlare di alternative. Non sento la Speranza che si fonda su basi solide e che parte dal cuore, dalla testa, dall'anima, dal buon senso, dall'uomo.
La speranza l'ho trovata nell'operazione colomba, un corpo nonviolento di pace che da 16 anni vive in aree di conflitto e condivide la vita dei propri volontari con quella delle vittime delle guerre. L'idea è che l'alternativa esiste e che sia proprio quella di entrare in area di conflitto non con altri mezzi di distruzione ma come civili per vivere a fianco di altri civili, i quali sono i primi a subire le violenze delle guerre armate, e che proprio a partire da loro si possa costruire riconciliazione e pace tra le fazioni in lotta.
Se fai parte del nostro mondo, quello "sviluppato", allora sei incluso nel mondo intero ma se fai parte di quello "meno sviluppato" allora non esisti e ancora meno se dove vivi c'è un conflitto a cui l'occidente non è interessato.
Vivere in area di conflitto significa essere consapevoli del fatto che la vita delle persone che vivono dove c'è la guerra è importantissima, tanto quanto la nostra. E l'essere lì con loro e rischiare insieme a loro ne è la dimostrazione.
Negli anni l'operazione colomba è stata in molti conflitti (ex-Jugoslavia, Sierra Leone, Congo, Cecenia, Chiapas, Kossovo, Uganda, Israele/Palestina...) e si è resa conto di quanto sia necessario cercare di vivere e stabilire contatti con tutte le parti in conflitto per favorirne il dialogo. Quello che ci si propone è di essere neutrali di fronte alle parti ma di non esserlo di fronte alle ingiustizie.
La presenza di esterni al conflitto inibisce coloro che vogliono intraprendere azioni violente nei confronti della parte considerata nemica e il fatto di essere disarmati abbassa il livello di tensione.
L'obiettivo è "guarire le ferite e costruire ponti": le vittime della violenza non sono solo la violenza che hanno subito. Cercare di rielaborare il proprio vissuto e accettarlo è fondamentale se si vuole accettare anche la parte che si ritiene nemica.
I volontari dell'operazione colomba provano a costruire rapporti con entrambe le parti in modo da avvicinarle.
Non ci sono tempi o scadenze del progetto da rispettare, si rispettano i tempi delle persone che vivono il conflitto.
E davvero prezioso è ascoltare queste persone per capire la loro situazione, il loro vissuto e per renderle consapevoli di quanto indispensabile sia la loro voce.
Al giorno d'oggi è sempre più difficile avere tempo per le persone. In realtà il conflitto compromette e capovolge proprio le relazioni tra le parti, tra le persone. E se si vuole garantire il futuro bisogna proprio lavorare sul recupero e sul cambiamento delle relazioni tra le parti attraverso spazi di dialogo e riconciliazione.
Nel mondo in cui vivo ho smesso di guardare la televisione perché non voglio che l'assurdo diventi normalità. Voglio smettere di non meravigliarmi più di ciò che succede. Non voglio che i contenuti violenti derivanti da messaggi e falsi miti mi facciano accettare come normale ciò che non lo è. Non voglio che il pessimismo diffuso e la paura dell'altro mi impediscano di vivere liberamente. Non voglio che il terrorismo psicologico mi faccia giustificare una guerra preventiva. La pace si costruisce con strumenti di pace non con strumenti violenti e di guerra. Non voglio subire passivamente o esserne vittima. Non voglio abituarmi. Voglio svegliarmi.
Un anno di confronto col governo per il riconoscimento e la legittimità di un'alternativa all'intervento armato in zone di conflitto, i corpi civili di pace, non hanno portato a nulla.
Ora capisco che solo da una lotta può nascere qualcosa di nuovo.
La proposta è quella di smettere di pagare le tasse dello stato che sovvenzionano le guerre e di destinare invece quei fondi al finanziamento dei corpi civili di pace, mettendo con fermezza il nostro governo di fronte al fatto che su di noi non potrà contare per diffondere nel mondo armi con il marchio made in Italy.
Vogliamo che il nostro paese sia conosciuto per la capacità di ricostruire il dialogo, di rendere la riconciliazione una prospettiva concreta , di fare della nonviolenza non un’utopia, ma una forza vitale e popolare.

Giulia, cittadina italiana e volontaria di Operazione Colomba