La Rivoluzione popolare nonviolenta in Tunisia ed in Egitto
In Gennaio c'è stata la rivoluzione dei gelsomini in Tunisia culminata con la cacciata del presidente - dittatore Ben Alì.
In Egitto l'11 Febbraio il movimento popolare di piazza Tahrir, che da 18 giorni occupava le piazze, ha vinto la sua lotta: il rais se n'è andato. In questi giorni la cronaca registra rivolte che stanno nascendo anche in altri paesi arabi.
I governi tunisino ed egiziano che, per quanto corrotti e dispotici, erano sostenuti dai paesi europei e dall'America, perché garantivano un controllo sull'instabilità dell'area, sono stati sbalzati via non dai partiti islamici, fondamentalisti e non, ma da un movimento civile, popolare, composto da intellettuali, professionisti, tanti giovani e tanta tanta gente comune.
Le bandiere sono state quelle nazionali, non quelle verdi dell'Islam.
In Egitto la piazza, composta sopratutto da giovani, non si è tirata indietro di fronte alla famigerata polizia del regime, di fronte ai primi morti, ma ha continuato la protesta, rompendo il cerchio della paura in cui era tenuta imbavagliata da decenni, aggregando tanta gente, fino alla vittoria.
Una lotta popolare, nazionale, giovane e sopratutto nonviolenta.
Come Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus riconobbe nella nonviolenza la forza che permise ai moti nei paesi dell'est Europa nel 1989 di spazzare via il comunismo, così oggi il presidente americano usa le stesse parole: “per L'Egitto è stata la forza morale della nonviolenza, e non il terrorismo, non le uccisioni folli, a curvare ancora una volta l'arco della storia verso la giustizia... sono stati i giovani ad essere il cuore delle manifestazioni, una generazione che vuole che la propria voce sia ascoltata… e' un momento storico e noi abbiamo il privilegio di esserne testimoni”.
Con la fiducia che questa transizione , appena cominciata , andrà in direzione di una maggior giustizia e democrazia due considerazioni mi sembrano necessarie.
I. La forza della nonviolenza
Ancora una volta la via della nonviolenza ha mostrato tutta la sua efficacia e la sua forza.
Nessun tiranno può resistere ad un popolo unito che, libero dalla paura della persecuzione e della morte, si solleva senza usare violenza.
E allora dobbiamo sapere gioire e riconoscere la grandezza di questo evento. Non possiamo sempre e solo soffrire di fronte al male che c'è nel mondo ma anche gioire in cuor nostro quando uno o più tiranni vengono cacciati via da un intero popolo che, per quanto perseguitato e ucciso, lotta senza usare violenza.
Anche i credenti, come sanno con certezza che il male viene dal demonio, quando accade qualcosa di buono devono sapere vedere la mano di Dio e del Suo Spirito che agisce nella storia. Il Signore passa e concretamente libera non solo i cuori a livello personale ma anche la storia degli uomini!
Questo evento così ricco di forza e di novità non è una casualità. Bisogna saper leggere nelle pieghe della storia per vedere che questo tempo sta scrivendo le pagine più belle sulla nonviolenza: citiamo solo, oltre alle esperienze tradizionalmente note come quelle di Gandhi e M. L. King, quella delle Filippine, dove nel 1986 fu cacciato il dittatore Marcos senza colpo ferire, la cacciata del presidente dittatore Ratsiraka nel 1992 in Madagascar, le lotte popolari per la caduta del Comunismo nell'Est Europa nel 1989, il passaggio in Sudafrica dalla fine dell'apartheid ad una società democratica e multietnica attraverso un processo di verità e riconciliazione, l'esperienza dell'Espere - le scuole per il perdono e la riconciliazione che in questi anni hanno “guarito” e riconciliato migliaia di persone in Sud America - fino a queste lotte in nord Africa, passando attraverso tanti altri eventi in cui la nonviolenza e il dialogo sono stati importanti per la risoluzione di conflitti tra popoli.
In questo tempo l'umanità sta traendo dal cilindro altre modalità di affrontare i conflitti. Lentamente fa passi avanti verso un superamento della violenza e, chissà, un giorno degli eserciti.
E' tempo che il mondo politico, le istituzioni internazionali, il mondo della ricerca pongano attenzione a questi nuovi fenomeni. E' tempo che, di fronte alle esperienze nonviolente, si esca dalla logica delle categorie della casualità positiva, per cui le dottrine militari possono continuamente elaborare e sperimentare strategie vincenti per essere poi diffuse su scala più vasta, mentre della nonviolenza si pensa che la sua efficacia sia dovuta a una casualità da cui non si può imparare niente. Per cui non si possono raccogliere le esperienze, approfondirle, usare i protagonisti come risorsa, trovare possibili vie di diffusione e rafforzamento di questa alternativa di lotta. E' chiesto oggi un salto di qualità a livello culturale.
Anche nella Chiesa questo salto deve ancora avvenire in maniera chiara e profetica.
II: Mondo arabo e nonviolenza
La II considerazione è che queste lotte nonviolente in ambiente arabo/ musulmano ci hanno spiazzato. Per noi c'era una contraddizione: com' è possibile che la cultura arabo/musulmana e quella della nonviolenza abbiano trovato dei punti di incontro?
Figli anche noi della cultura dominante e del pensiero del politologo Huntington sullo scontro di civiltà, facciamo lo stesso errore che fa l'estremismo islamico quando non differenzia nel mondo occidentale cristiano le posizioni di Bush e le guerre in Irak e Afghanistan e la posizione di Giovanni Paolo II, fortemente contrario alla guerra, ed in mezzo a queste tante altre sfumature.
Così noi, di fronte ad un mondo che non conosciamo e ne abbiamo paura.
- Si ha paura di tutto ciò che non si conosce – e cadiamo nella trappola di un ragionamento per categorie iniziando a creare separazione e muri. Non esiste un mondo musulmano tutto negativo. Esiste un mondo fatto da popoli e da scuole di pensiero differenti . Ogni popolo è fatto di singole persone, diverse tra loro, ognuna espressione di sensibilità, scelte e vissuti differenti.
Ci ha stupito che in Egitto non sia stato il movimento integralista musulmano a guidare la protesta, che non si sia invocato un regime islamico radicale e la promulgazione della Sharia.
Semplicemente perché questo pensiero non è maggioritario in Egitto ma appartiene ad una minoranza. I Fratelli Musulmani rappresentano il 15 % della popolazione egiziana, e al loro interno ci sono diverse sensibilità. L'università egiziana di Al Azhar, maggior centro di insegnamento al mondo dell'Islam sunnita, legata al regime, fin dall'inizio ha preso le distanze dalla protesta. Al Azhar ha definito la popolazione in rivolta “i violenti teppisti di piazza Tahrir “. Dall'Iran sono venuti incitamenti ad una rivolta islamica. Tutto l'occidente temeva una piega religiosa radicale.
Ma così non è avvenuto. Anzi le cronache ci riportano che musulmani e cristiani hanno pregato insieme nelle piazze per le vittime della repressione.
Come in tutti i popoli c'è un ristretta cerchia estremista ed una maggioranza buona che ha paura.
Ma quando la maggioranza alza la voce, questa viene fuori per come è: libera, autonoma da rivendicazioni e da colori religiosi, che chiede solo democrazia e giustizia sociale.
Paradossalmente in occidente si è discusso dell'impossibile convivenza tra Islam e democrazia e in Egitto in rivolta il popolo ha dovuto prendere atto dell'impossibile convivenza tra le proprie richieste democratiche e l'Occidente che non è stato in grado di sostenere queste richieste.
Con questa riflessione non si vuole arrivare a nessuna conclusione ma solo affermare che ogni situazione va conosciuta dal suo interno, facendo una ricerca fatta di umiltà, di dubbi, di ascolto, sapendo che in ogni cosa è presente il bene ed è presente il male.
In occidente non siamo tutti estremisti, il mondo musulmano non è tutto estremista.
Siamo chiamati a cercare dei punti di incontro nella verità e nel rispetto.
Antonio De Filippis