Un cuore grande dentro un piccolo mondo

Albania

Flora si guarda intorno con curiosità, come se si trovasse su Marte. Siamo in Kossovo, a Prizren. In fondo non è approdata in un Paese esotico, è a pochi Km di distanza da dove è nata.
Ma mi rendo conto che per lei, abituata al suo mondo fatto di rotaie, galline e polvere...
Noto nelle sue battute e nei suoi sguardi stupiti, mentre scruta le persone e la città, desiderio di percepire qualcosa di nuovo, sconosciuto.

Ma non noto desiderio di farne parte. Sta bene Flora nel suo piccolo mondo. È riuscita a farci entrare il suo cuore grande. Si è fatto spazio, si è conformato alla puzza, alla sporcizia, alla violenza; ma è sempre lì vigile e colmo. Non è un cuore che si può permettere di sognare e pretendere qualcosa di diverso da ciò che ha. È un cuore molto concreto: consapevole di dov'è nato, con chi è sposato, dove vive... Non può desiderare l'oceano quando tutto quello che ha è una pozzanghera. Ma trasformare quel piccolo specchio d'acqua nel suo personale oceano. Solo in questo modo può amare ciò che ha e non osare chiedere alcunchè in più...

La stessa sensazione la ho osservando piccoli e grandi al corso di giocoleria e teatro. Mi accorgo della fatica che fanno a mettersi in gioco, a perdere parte della loro concretezza per fare spazio alla fantasia. Vivono in una realtà dove, se ci si rifugia nei sogni, è finita; la prigione dove vivono diventa una doppia prigione. Ma forse a questi ragazzi fa bene evadere, anche solo per un’oretta, dalla realtà: così si possono guardare da lontano, come se fossero degli estranei.  Il teatro dà loro modo di confrontarsi con i coetanei e imparare un modo nuovo di stare insieme.
Anch’io ho tanto da imparare da loro. Non mi aspettavo che in qualche anno questi ragazzi taciturni, ermetici, guardinghi, solitari diventassero così aperti e disponibili. Sono belli insieme: i più grandi si prendono cura dei più timidi, i fratelli maggiori sono protettivi verso le sorelline, chi è più estroverso cerca di coinvolgere i riservati.
Ognuno mette in gioco il meglio di sé. Non immaginavo, un anno fa, che avrei avuto il privilegio di vederli così cresciuti. Spesso sono loro che propongono qualche nuova attività.
Li scruto con sguardo orgoglioso e tenero e mi chiedo chi e come saranno fra qualche anno.
Loro sanno dove cercarmi nel mio smarrimento. Vorrei essere per loro ciò che sono per me: un cuscino su cui appoggiarmi per sognare un futuro diverso dall’oggi ma rimanendo con i piedi ben saldi per terra.

È questa la sfida a cui siamo chiamati: mostrare ai ragazzi che hanno scelta, possono decidere il loro domani. Non hanno un destino già scritto fatto di reclusione e violenze. Hanno un bivio davanti a loro, devono “solo” accorgersene.

Mi torna in mente la canzone di Guccini su Don Chisciotte quando questo “folle” cavaliere si tuffa nella sua “mission impossibile” con la sola certezza del cuore puro. Mi sento spesso Don Chisciotte qui in Albania. Forse lotto più contro l’indifferenza e l’accettazione incondizionata della realtà da parte della gente che contro l’ingiustizia delle vendette di sangue e le morti che ne conseguono. A volte provo a guardarmi con gli occhi delle persone comuni e mi dico: “Sei proprio matta!”. Canticchio la domanda retorica di Sancho Panza: “Riusciremo noi da soli a riportare la giustizia?” la risposta, se la si discute a tavolino, è abbastanza ovvia: NO. Non voglio essere definita come testarda e idealista perché non lo sono. Se sono in Albania con Operazione Colomba è proprio perché sono una persona concreta e realista. E comunque essere realisti non vuol dire che si accetti la realtà così com’è. Ciò che mi ha spinta qua, e alla Colomba in generale, è quello “slancio generoso, fosse anche un sogno matto”; è la consapevolezza che sono le persone, dal basso, che possono creare qualcosa di nuovo, possono trasformare la realtà.
Non voglio “salvare il mondo intero” ma, come dice Don Chisciotte: “Dovrei tirarmi indietro perché il male e il potere hanno un aspetto così tetro? Dovrei anche rinunciare a un po’ di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà?” NO!
Proviamo a non essere soltanto spettatori silenziosi delle ingiustizie che ci circondano ma protagonisti di un cambiamento. Le vendette di sangue costringono tante persone a rinchiudersi in casa, non permettiamo che ci facciano rinchiudere anche nel nostro piccolo mondo fatto di certezze e immutabili realtà!
È un cammino che come volontari siamo chiamati a fare sulla nostra pelle prima di trasmetterlo ad altri. Solo così possiamo provare a essere termostato.

Laura

 

"La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite.
E' la nostra luce, non la nostra ombra a spaventarci di più"
(Nelson Mandela)