Oltre il velo

Albania

Ancora non riesco bene a comprendere cosa sia successo in Albania: so solo che raramente mi è capitato di vivere qualcosa di così intenso e vero in ogni angolo della mia giornata, in ogni relazione, in ogni piccola scoperta che piano piano rivelava un mondo diverso dal mio.

Ma non da subito: prima ho dovuto lasciare che il velo di preconcetti, barriere linguistiche e culturali, limiti autoimposti che all’inizio mi copriva occhi, orecchie e cuore scivolasse via. Pensavo che sarebbero state emozioni forti e scene strazianti a strappare con prepotenza quel velo; invece è stato un fatto assolutamente normale ad alzarne delicatamente il primo lembo, permettendomi un po’ alla volta di vedere e ascoltare veramente le persone che avevo davanti. Ed è successo in un normalissimo locale, bevendo un semplice caffè in compagnia di persone che nulla avevano di speciale… fuorché la loro storia.

 

Una donna delle montagne, temprata dalla vita dura di chi si consuma lavorando la terra ed allevando bestiame; un giovane uomo orgoglioso, imbevuto di una cultura ancestrale; una ragazza di diciotto anni piena di vita e di speranze confinate tra le mura di una vita domestica e segnata dalla tradizione. Non avrei mai pensato che in queste tre persone potesse essere rinchiuso un ritratto così chiaro delle contraddizioni, della cultura e delle aspettative di un Paese.
Seduti al tavolo di un caffè, un locale dalle pretese eleganti ma abbastanza pacchiano ai miei occhi, il disagio della donna e del giovane erano evidenti. La prima era completamente alienata, come se avesse appena scoperto un altro pianeta. I toni accesi e vivaci dell’arredo e delle pareti, le maschere veneziane appese al muro, le sedie imbottite e i tavolini in marmo, il forte aroma del caffè, i capelli di una cameriera raccolti in fitte treccine, il turbinio di donne eleganti e truccate e di saluti intimi tra ragazzi e ragazze: tutto contribuiva a costruire un affresco stridente, che nulla aveva in comune con la sua dura vita montanara, fatta di greggi, di lavoro nei campi, di casupole fredde, spartane senza luce né acqua corrente.

Il giovane invece era visibilmente imbarazzato per essersi fatto scarrozzare in auto tutta la mattina da due donne ed ora di essere costretto a sedere ad un tavolo con loro; il suo orgoglio ferito gli faceva tenere lo sguardo basso, evitando di rivolgerci la parola. Il disagio nell’aria era palpabile: i due non vedevano l’ora di andarsene e non facevano nulla per nasconderlo.

La ragazza invece era estasiata: il suo contegno ed il suo riserbo non riuscivano a nascondere la felicità che le regalava quel momento rubato. La luce nei suoi occhi, il volto increspato in un tenue sorriso, le mani strette saldamente attorno alla tazzina: tutto in lei traboccava serenità. Lentamente assaporava il suo caffè, lentamente gustava quel momento di evasione dalla quotidianità delle mura domestiche, intrise del dolore per la perdita della sorella morta in un folle agguato. In mezz’ora la magia di quell’attimo sarebbe finita, avrebbe imboccato la strada di casa, varcato la soglia che l’avrebbe fatta ritornare la piccola padrona di casa dedita completamente alla famiglia. Avrebbe seppellito la sua adolescenza e la sua spensieratezza sotto il peso di tradizioni secolari, che forse presto la renderanno sposa e madre; sarebbe stata riassorbita dai doveri e dai bisogni quotidiani che le regalano come unica occupazione la cura della casa e la produzione di rosari per guadagnare poche decine di centesimi al giorno, indispensabili alla sopravvivenza dei suoi cari.

Però in quel momento era ancora una ragazza intenta a godersi un piccolo lusso in un locale chic e in quel caffè era condensato tutta l’evasione e la spensieratezza che le sono concesse alla sua età: le accarezzava sorso dopo sorso, ben decisa a tenerle strette a sé il più possibile. Era ancora una ragazza qualunque, così come lo ero io a diciott’anni, così come lo è ora mia sorella, sua coetanea. Eppure in quella normalità c’era qualcosa di tremendamente intenso e vero, che per un momento mi ha fatto comprendere un po’ di più la vita di una piccola donna albanese.
Non avrei mai pensato di trovare qualcosa di così autentico e disarmante in un semplice caffè.

Erica