Quale cultura

A venir qui, dopo aver fatto un po’ di silenzio, si finisce col sentir per forza scricchiolare le placche di due cultura che sfregano, quella di appartenenza e quella che ospita con gran piacere. Capita per l’estrema vicinanza e la contaminazione, che finisco col chiedermi se questo filo che le lega sia lo stesso che parla della storia di tutte le umanità; perché non sarebbe assurdo trovarmi a parlare con una bambina che per contesto e stile di vita non si discosterebbe da quello vissuto da mia nonna da piccola, come se il tempo si accartocciasse.
Nonostante questo, le differenze ci sono ed è importante conoscerle e digerirle, non per farne somme o divisioni, ma per scoprire direzioni comuni e utili a tutti.


Per non cadere in fraintendimenti, userò cultura per intendere quell’insieme di atteggiamenti, processi educativi, sociali e schemi interpretativi che creano una cornice di appartenenza e di deciframento.
L’altro giorno giravo in macchina per Scutari e sono stato colpito da quello che, in questo momento, definirei un eversivo, qualcuno stufo dei panni forse troppo stretti o troppo logori (cuciti dalla cultura); avevo la chiara impressione fosse definito da quelli del luogo un poco di buono, semplicemente perché non conforme a quella cornice di riferimento.
Mi sono pensato quindi io l’eversivo della mia cultura, afferrando che, qua come da me, avrò la stessa forza centripeta che mi tira dentro. Come a non voler far evolvere un sistema di schemi già sicuro e funzionante, ci sarà anche in quella situazione un anziano che scuoterà la testa avendo ormai perso la speranza.
Il cortocircuito è proprio qui: quanto del nuovo, portato dalla generazione entrante, arricchisce o impoverisce la cultura d’appartenenza.
Poi, a voler concludere questo pensiero, sono apparse ulteriori domande, che qui, per rispetto dei miei pensieri, getterò per come si sono presentante: E’ lo stesso movimento quello dei due eversivi?
Un eversivo può non esserlo in altre culture?
C’è una cultura più rinnovata di altre?
Ci saranno culture che si lasciano più facilmente rinnovare di altre?
Perché qua io sono lo straniero, riconosciuto come tale e quindi posso, mentre lui, che potrebbe più di me avere effetto, non può? Come se ricevesse, per principio di Archimede, una spinta dalla cultura pari per intensità al peso della cultura influenzata.
E’ chiaro, se non scontato, che sia “l’eversivo italiano” che “l’eversivo albanese” si muovono verso una direzione di rinnovamento non percepito come tale dalla cultura stessa. “[...] C’è una missione speciale per ogni uomo e per ogni popolo che realizza così la sua individualità. [...] ognuno ha diritto alla libertà per poter meglio sviluppare la propria missione speciale”1.
Forse qui c’è la chiave per capire parte della situazione, come a dire “E’ giusto che tu porti avanti la tua di cultura, ma la nostra la portiamo avanti noi”. Non c’è torto in questo ragionamento se si considerassero le culture attrezzi sconnessi, ma a rigor di metafora e probabilmente di realtà, come lo spazio non può avere buchi, le culture sono impantanate le une con le altre.
Sarebbe più efficace usare il corpo umano come analogia.
Le culture in questo caso sarebbero gli organi e c’è da capire che osservarle isolate non ha senso, perché da sole non son nate e separate non funzionano.
Tornando al concreto, non mi è facile capire perché io sì e lui no Ci ho riflettuto diversi giorni.
Forse la cultura, attraverso le persone, non respinge me, respinge lui e allo stesso tempo lo tira a sé.
Come un processo naturale di autoconservazione permette di rinnovarsi ma con garbo e lentezza, per piccoli passi. Io non devo rinnovare niente, è lui che deve farlo, spetta a lui questo compito.
“Il concetto di missione è legato con quello di progresso: c’è un pensiero o principio occulto in ogni nazione, ed essa ha la missione di svilupparlo: altrimenti perisce. [...]”2.
Quindi, se pur di culture differenti, si portano avanti discorsi tra persone, tra famiglie, tra comunità, tra nazioni, che proseguono con logiche diverse ma che finiranno per forza per intrecciarsi condizionandosi: come se il dialogo con la propria cultura fosse “privato” ma allo stesso tempo subisse giocoforza spintoni esterni, creando un gioco continuo di reazioni.
Diventa quindi anche questione di responsabilità che sia io a risolvere e evolvere la mia cultura (che sia in loco o non) – anche contaminandomi.
E a voler chiarire un possibile fraintendimento; qui non si parla di individualismo, quanto piuttosto di seguire la propria ricerca, unica perché personale e allo stesso tempo importantissima perché per tutti e di tutti.
In questo modo l’avvenire di ogni uomo/donna si sovrappone a quello dell’umanità3.
Forse avendo capito alcuni perché dell’ ”io posso e lui no”, si passa dai rami al tronco e dal tronco alle radici del discorso, in quanto fattore imprescindibile – quanto scontato – è il rispetto per la cultura altra.
E’ semplice capirlo portandolo sul senso pratico: lo straniero irrispettoso, alla meglio rimane tale, se non decade ad antagonista; lo straniero rispettoso, può trasformarsi in ospite e solo l’ospite può “entrare” in una comunicazione.
Rispetto della cultura significa molte cose e perdermi in una disamina di ciò che è non penso abbia senso; per restringere il campo, però, intendo che ogni cultura è un prodotto di moltissime variabili, che spesso da straniero sono inesistenti o incomprensibili e il rispetto implica il capire che proprio l’essere straniero le rende tali.
E’ interna a noi la questione, non esterna. Il fulcro di interesse per sciogliere la questione è quindi “considerare i problemi di comunicazione che nascono dal contatto fra culture diverse”4. Ignorando questo, rimarremo sempre stranieri ovunque, dimenticando provenienza e direzione, propria e altrui.
Per processo-spirale di conclusione si ritorna allo sfregare delle placche, che, osservate esclusivamente come scontro, paiono solo un dannoso terremoto; considerate come conflitto e incontro, si possono valutare come un passaggio necessario della nascita di una nuova cresta montuosa, chissà di quale portata.
Luca

1-2-3.”Educazione aperta 2”, Aldo Capitini
4.”Dove gli angeli esitano”, Gregory e M.Catherine Bateson