Qual è il senso?

Spesso mi capita di chiedermi il senso dello stare qui, il perché di questo lavoro.
Perché andiamo a visitare le famiglie? Alcune volte sembra inutile, sembra che si sia fermi in un limbo, che nulla mai cambierà.
Mi sembra ci sia solo fumo qui, a volte.
E mi domando se sia giusto, dopotutto, venire qui a ficcare il naso negli affari altrui.
Che autorità ho io per farlo?
Non ho morti in famiglia, io.
Non ho mai dovuto perdonare nessuno, io.
E poi, ecco.
Prima di mettermi a letto, per caso, scorgo un lembo di una foto. La prendo, la osservo. C’è Arben sorridente in mezzo a tre volontarie.
E capisco.

Il senso sgorga spontaneo, senza neppure aver bisogno di riconoscere cosa sia.
Come quando in visita Lindita si commuove, piange e ci ringrazia per esserle stati accanto nei momenti peggiori, quando suo figlio era in carcere.
Come quando, nel vederci, s’illuminano di felicità i visi di Vera e dei suoi tre figli, che hanno solo una stanza di trenta metri quadrati in cui vivere da quando il marito e padre ha ucciso.
Come quando Altin e Blerina ci travolgono col fiume in piena delle loro parole, si sfogano finalmente, e noi possiamo solo tentare di carpirne il più possibile.
Allo stesso modo, il volto sorridente di Arben, che ha solo 14 anni, mi ridona il senso della nostra presenza.
Qual è il senso?
Il senso è che non sopporto l’idea che un ragazzino vivace e intelligente, che sta imparando l’italiano soltanto sentendolo parlare da alcuni strani volontari, che gioca in porta perché il suo idolo è Buffon, che ci abbraccia ogni volta che ce ne andiamo da casa sua, che vive in un quartiere costruito ai lati dell’unico binario del treno, un ragazzino con un immenso desiderio di vita possa vivere nell’inquietudine di rischiare la vita stessa per qualcosa che ha fatto suo zio.
Leggo nel suo sorriso e in quelli dei suoi fratelli qualcosa che è più di semplice affetto… che poi io solo cinque mesi sono stato in Albania, il loro affetto l’ho più che altro ereditato dai volontari passati.
È gratitudine verso la Colomba, quella nel suo sorriso, e fiducia.
La Colomba ha offerto loro un altro punto di vista, un’altra strada da percorrere insieme.
Non posso sopportare l’idea che in Arben possano sorgere sconforto, rabbia, rancore e odio.
Né dentro a lui, né in nessun altro nella sua condizione.
Non posso sopportare che possano crescere credendo che la soluzione alla loro negatività sia uccidere un’altra persona.                                                                                     
È una menzogna, e scoprirlo così non li salverebbe.
Chi glielo direbbe, se non noi, che esiste un’alternativa alla rivalsa violenta e omicida?
    
Elia