Il futuro è già qui

Il futuro è già qui
Nell’oggi cammina già il domani
(S. T. Coleridge)

Ogni volta che vado a trovare i Gjoni è sempre buio, per qualche ragione.
Questa volta è saltata la luce, i fili precari che si stendono tra gli orti e i viottoli sterrati del villaggio non hanno retto i giorni di pioggia che affliggono questo dicembre umido e freddo.
L’atmosfera della periferia di Scutari è ancora più triste e lugubre del solito, con le casette strette l’una all’altra, i muri gonfi di muffa e il fango in cui si impantanano le nostre scarpe, passo dopo passo.
Camminiamo al buio, fino al cancello di ferro blu brillante sulla sinistra.
Bussiamo, ci annunciamo all’ingresso ma i Gjoni non sentono; probabilmente il rumore della pioggia battente copre tutti i rumori.
Finalmente si accorgono di noi e ci accolgono in casa, contenti della sorpresa.


La conversazione si snocciola alla luce delle torce degli smartphone, candele contemporanee di un’Albania in perenne contraddizione tra riti ancestrali e velocità post-moderna.
Accomodati tutti stretti sul divano sfondato, ci complimentiamo con Ornela e Kol, che nonostante tutte le difficoltà, hanno cresciuto i due figli educandoli alla fatica del lavoro e all’impegno dello studio.
Solo dopo aver abituato gli occhi alla penombra, scorgo i cambiamenti in casa: cucina e soggiorno sono stati divisi da una nuova parete, è stato piastrellato il bagno, che intravedo da lontano.
Ornela ne è molto orgogliosa e ce lo mostra indicando i sanitari candidi.
Finalmente si vedono i frutti del suo lavoro a pulire uffici e di quello di suo marito.
Kol è stato alcuni mesi in Grecia, senza documenti, a raggranellare qualche stipendio in nero.
Tutto sommato è soddisfatto, ha migliorato le condizioni di casa.
Qualche tempo fa l’avevamo accompagnato di notte in ospedale, in preda a un attacco di panico, a causa di ciò che affligge la sua famiglia da anni ormai.
La vendetta di sangue, che si abbatté su di lui a causa di un fratello che anni prima commise un omicidio, lo perseguitava a tal punto da terrorizzarlo psicologicamente con momenti di incoscienza e convulsioni.
Era stata una lunga notte per lui e per la sua famiglia.
Poi fortunatamente il momento era passato, la sua salute si era stabilizzata, e Kol era tornato all’anonimato della ricerca senza sosta di un lavoro.
Lo sguardo basso, l’inadeguatezza nell’espressione di chi non sa come sbarcare il lunario.
Ma almeno oggi è diverso.
Ci mostra qualche foto scattata durante le settimane a lavorare in Grecia; ha anche avuto qualche giorno libero ed è andato a caccia con un amico, con cui è riuscito a catturare un cinghiale.
La conversazione con lui non va oltre uno scambio di battute, le immagini lo tolgono dall’imbarazzo di dover impiegare le parole.
E’ un uomo silenzioso, Kol, ma almeno questa volta i suoi occhi dicono che è fiero di aver contribuito al sostentamento della sua famiglia.
Ha iniziato a lavorare anche Ndue, il figlio più grande.
Già lo sapevo, ma lo noto subito dalla stretta di saluto; le sue mani affusolate da studente, lisce e bianche, si sono trasformate in una morsa ruvida e nodosa.
Ha l’aria stanca, di chi fatica davvero, ma ciononostante si ferma con me a ricordare i momenti passati, trascorsi insieme a Operazione Colomba.
Ride ancora ripensando al viaggio in Kossovo organizzato con gli altri giovani del gruppo e i volontari, agli incontri fatti, alla simpatia di alcuni ragazzi italiani passati per l’Albania.
Era stato un viaggio breve di soli quattro giorni, fatto di molte “prime volte”: la prima volta all’estero, la prima visita a una moschea con una guida a spiegare i fondamenti di una religione diversa dalla propria, la prima notte a dormire in un albergo, il primo incontro con personalità note del Kossovo.
Ricordo anche che Ndue e i suoi coetanei rimasero sorpresi di essere considerati ospiti, perché per la prima volta erano loro al centro dell’attenzione, attesi e benvoluti.
Ndue sorride, l’atmosfera è quella di quando si rivede un vecchio amico con cui si è condiviso un pezzo di strada, un vecchio compagno di scuola con cui si ricorda una gita insieme.
Esco da casa Gjoni più leggera di quando sono entrata, con la sensazione di aver contribuito, anche se in minima parte, alla crescita e al cambiamento di Ndue.
Ho visto il cambiamento di questa famiglia nelle pareti ridipinte da poco, nella cucina in ordine, nella dignità del lavoro.
Ho letto il cambiamento di queste persone nella fatica e nel desiderio di sognare il futuro.

Sara