Normal

Non credo di aver capito bene ciò che Bardhok ha appena detto.
Gli chiedo di ripetere.
Lui guarda Pëllumbë, come se avesse bisogno di qualcuno che potesse confermare le sue certezze.
Mi guarda negli occhi.
"Il sangue si lava solo con il sangue", ripete.
Pëllumbë annuisce "è così, il sangue si lava col sangue, lo dice anche il kanun".
"Ma - dico io in un misto fra l'incredula e il curiosa - quindi se per esempio uno uccide mio fratello la mia famiglia secondo voi dovrebbe vendicare?"
Pëllumbë conferma "esatto, così facciamo noi albanesi".
Io non mi capacito di queste parole.
So che questo “gruppo ragazzi” è nuovo, della vecchia guardia non c'è più nessuno, ma davvero siamo messi così?
Bardhok mi guarda "tu perdoneresti l'uccisione di tuo fratello?".
"Si - dico io senza alcun dubbio - forse non riuscirei a stringere la mano a chi l'ha ucciso, ma non vorrei la sua morte, cosa ci guadagnerei?".

"Non l'hai provato quindi non lo puoi sapere".
"Beh - incalzo - a me hanno ucciso una zia, l'ha investita una donna perché ha guidato senza attenzione, ma non vorrei la morte di questa persona".
"E' diverso - risponde Bardhok - per la morte di una donna è diverso, e poi quella è stata accidentale".
Lo so che non parla con cattiveria, lo so che non è lui che parla ma quella stupida idea che l'onore valga più della vita, ma non mi arrendo.
"Un morto è sempre un morto, uomo o donna che sia".
"Vabbè comunque il kanun dice così".
Non si schioda, decido di provocarlo: "quanti anni ha il kanun, Bardhok?".
"Mah boh, 500".
"E come vivevano 500 anni fa?".
"Senza luce, senz'acqua, senza telefono" interviene anche Gëzim, che si interessa alla conversazione.
"E allora - continuo - se volete vivere secondo il kanun perché non vivete così, senza telefono e senza internet?" rispondo con una battuta ma poi... silenzio.
Credo di aver colto nel segno.
"Però - aggiunge Pellumbe - vivevano anche con più onore".
"Certo, perché sceglievano anche il perdono, non sempre la morte, mentre adesso voi come vivete?" .
Bardhok si incupisce "con la paura, normal!".
Già, normal, normale.
Si dice così in Albania quando una cosa è scontata, ovvia: normal.
Ma com'è possibile che sia normale vivere con la paura anche solo di uscire di casa a 17 anni?
Com'è possibile considerare normale che l'onore valga più della vita?
"Ma voi quindi non vorreste il perdono? La riconciliazione?" chiedo.
"Normal, logico. Ma sono gli altri che non vogliono".
"Ma voi non credete che avete il potere di cambiare le cose? Voi siete il futuro dell'Albania!".
"Ma come si fa?" mi chiede Bardhok.
"Si inizia dalle piccole cose, sai che a scuola c'è un ragazzo a cui hanno ucciso un parente? Non andare a dirgli che non ha onore se non si vendica. Non spingerlo a usare la violenza".
Sono perplessi, ma vedo che ci pensano.
Gëzim fa una battuta e la conversazione si fa leggera.
Nel furgoncino, riportandoli a casa, non riesco a non pensare all'incontro e i pensieri corrono veloci al ritmo delle canzoni tamarre che Pëllumbë sta cambiando in continuazione senza dare tregua alle mie orecchie.
Fino a pochi minuti fa parlavamo di morte e paura, ora cantano e ridono, cercando di ottenere il permesso per alzare il volume.
Guardo nello specchietto e i miei occhi incontrano quelli di Gëzim.
Il suo sogno è diventare come Buffon.
Mi chiedo se il semino di questo incontro darà frutti o se si seccherà al primo sole.
Capisco che quello che noi portiamo in questa terra non è solo il perdono, non è solo un'alternativa alla violenza, ma è speranza.
Perché non è ammissibile che un giorno il figlio di Bardhok cresca con la paura di uscire di casa, per una colpa di qualcuno che non ha nemmeno mai conosciuto.
Perché non è giusto che dei ragazzi come Bardhok, Pëllumbë, Gëzim e chissà quanti altri giovani albanesi non possano vivere serenamente.
Perché tutti dovrebbero avere il diritto ad una vita degna.
So che anche questo superpotere ci appartiene.
La speranza vive in noi, la speranza siamo noi.
Normal.

Nadia