Resistere alle Sirene

Chi ignaro approda e ascolta la voce
delle Sirene, mai più la sposa e i figli piccoli,
tornato a casa, festosi l’attorniano,
ma le Sirene col canto armonioso lo stregano,
sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri
umani marcenti; sull’ossa le carni si disfano.
Omero, Odissea, Libro Dodicesimo
(Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)

A un passo dai quarant’anni, Alban è un uomo, ma a volte si chiude nella sua stanza e gli piace pensare di essere ancora un ragazzino. Alto e massiccio, saluta sempre con una stretta di mano vigorosa e un sorriso un po’ insolente, tenendo la sigaretta accesa tra le dita. Vuole far credere a tutti di saperla più lunga degli altri, di aver vissuto molte vite, non tutte dentro la legalità. Si vanta di aver vissuto all’estero, di conoscere molte culture, di saper uscire dal ruolo tradizionale dell’uomo che non si occupa delle faccende domestiche, e così prepara il caffè turco, scalzando sua madre dalla cucina. Alban vuole essere protagonista indiscusso della scena. E tutte le battute sui suoi trascorsi fanno parte del personaggio che vuole rappresentare, quando fa accomodare i volontari italiani sul divano di casa sua. Si giostra tra due telefoni alzando appena un sopracciglio – tutti lo cercano, del resto.

Ma dopo il prologo di presentazione, ecco che la tragedia entra in scena. Alban ha perso un fratello recentemente, ucciso per vendetta da un amico, in una notte di festa. Ne soffre terribilmente: dal suo ricordo traspare la figura di un santo, votato ad aiutare gli altri, benvoluto e amico di tutti, vivace animatore della parrocchia. E ora la decisione sul da farsi spetta a lui, al fratello che ne ha combinate di tutti i colori in passato, lo scapestrato che è tornato a vivere dai genitori per assumersi le sue responsabilità di uomo adulto. Alban deve decidere se vendicare la morte di suo fratello.
Sotto la fotografia del fratello che troneggia sulla parete, Alban confessa i suoi tormenti in italiano, in modo che la conversazione resti privata tra di noi, mentre i genitori e i suoi bambini girano per casa. Vive momenti di grande sconforto, si barcamena tra la famiglia avvolta nelle gramaglie e il vicinato, che prepotentemente si permette di insinuare il dubbio del disonore, qualora la vendetta non si abbatta sulla famiglia avversaria. La pressione che subisce è talmente forte che ci confida che a volte si chiude in camera da solo, al buio, per non pensare. A un passo dai quarant’anni, il peso di una tale responsabilità ogni tanto lo fa tornare ragazzino, quando si chiudeva nella sua stanza per non sentire i rimproveri dei genitori. Tolta la maschera della spavalderia, Alban si mostra in tutta la sua fragilità.  
E a me ricorda Ulisse, il viaggiatore protagonista dell’Odissea, che si permette di girare il mondo in lungo e in largo, affronta ogni pericolo col piglio del capo, ma sa che alla fine la sua vera identità è a casa. Alban è così: attratto dalle sirene della violenza, che lo chiamano da ogni parte, e lo invitano a far valere le proprie ragioni con la vendetta. Ha vissuto le mille avventure di Ulisse, riuscendo sempre a cavarsela, pur con qualche cicatrice. Ha viaggiato in lungo e in largo in Europa, ha avuto molte donne, e soprattutto gli piace raccontarlo in questo piccolo teatro che è il soggiorno di casa sua. Ma davanti ai richiami insistenti delle sirene la sua voce trema e tutta la sua sicurezza vacilla.
Con il consenso di suo padre, ha concesso ampia libertà di movimento alla famiglia avversaria, che comunque si mantiene prudente per non urtare la sensibilità della famiglia della vittima. Il colpevole sconta la sua pena in carcere, ma ciononostante le sirene della violenza si fanno sentire forti e persistenti, si presentano davanti al caffè con i vicini, nel bicchiere di raki al bar del villaggio, nel chiacchiericcio della gente tra le vie del paese di montagna.
Alban in cuor suo sa qual è la strada giusta, ma resistere alle sirene non è semplice. Per fortuna ha il suo spazio privato, la camera dove torna ragazzo, e dove, chiusa la porta, ritrova la sua purezza. Il suo vero io è lì dentro, nell’innocenza della vittima che supera se stessa e non si trasforma in carnefice. Come in una tragedia greca, l’epilogo deve essere liberatorio, conclusivo dei lutti. La catarsi si compie nella trasformazione di sé, nel rispetto della sacralità della vita altrui. Alban sa che può essere migliore delle aspettative delle sirene della violenza, deve solo riuscire a mantenere la rotta e superare i loro scogli.

Sara