Perdono e Riconciliazione

Albania

Per quanto possa essere un’esperienza dolorosa,
non possiamo permettere che le ferite del passato arrivino a suppurazione.
Devono essere aperte. Devono essere pulite.

Devono essere spalmate di balsamo perché possano guarire.
Questo non significa essere ossessionati dal passato.
Significa preoccuparsi che il passato sia affrontato in modo adeguato
per il bene del futuro.
(Desmond Tutu
)

È difficile spiegare quello che faccio da quasi un anno. Non è qualcosa di tangibile, immediato e definito. È un “lavoro” basato sulla relazione con le persone. Purtroppo o per fortuna mi sono resa conto che le persone non sono macchine dove se spingi un tasto cambiano funzione o attività.
Con un po’ di presunzione posso affermare che la proposta che facciamo come Colomba è diversa e più coraggiosa rispetto alle altre Organizzazioni.
Quando incontriamo le famiglie in vendetta non cerchiamo di dare un senso alla loro condizione di vittime o carnefici e di aiutarli a sopravvivere nel modo migliore che possano permettersi. Cerchiamo di andare alla base, alla radice del problema, di rimuovere le cause del Kanun. L’unico modo per uscire da queste faide familiari è la riconciliazione: l’incontro con il cosiddetto nemico e il perdono.
N. è un uomo anziano e alcolizzato. È rimasto solo e vive  in un posto poco ospitale e raggiungibile. Suo figlio è stato ucciso una decina di anni fa per via di un’antica storia di vendette. N. ha provato a vendicarsi sparando al figlio dell’assassino. Il bambino che N. ha provato ad uccidere, P.,  è oggi un ragazzetto di 17 anni sfigurato in volto.
N., ferendo P., non ha “ultimato il lavoro”, non è riuscito a riprendersi l’onore macchiato dall’omicidio di suo figlio; così N. aspetta di vendicarsi ancora e P. attende di non aver più paura e di avere il coraggio di uscire di casa senza timore di venire ucciso.
L’incontro tra N. e P. è stato commovente, emozionante, intenso. Ognuno di loro rimproverava all’altro di averlo fatto soffrire terribilmente. N. è stato padre di un figlio morto giovane, P. convive con l’angoscia di morire appena mette il piede fuori di casa.
Credo non sia facile guardare negli occhi una persona che si ritiene colpevole del dolore che si ha dentro: immenso e bruciante.
P. e N. non hanno esitato a affrontarsi faccia a faccia con un certo timore e rabbia. Questi due sentimenti di sfiducia reciproca si sono trasformati. Ognuno di loro si è reso conto di essere in parte responsabile della sofferenza dell’altro. E questo è il punto di partenza per arrivare alla riconciliazione.
Penso che perdonare una persona colpevole di aver fatto del male a qualcuno che si ama non sia facile in nessuna parte del mondo. Sono anche convinta che la vendetta sia un desiderio coltivato da tanti.
Il passo fondamentale che N. e P. hanno fatto dentro loro stessi, è stato quello di rendersi conto che sono persone offese e che, per guarire, devono cercare di ricucire la loro ferita. È, invece, spesso automatico che chi viene ferito debba ferire a sua volta.
Ai membri delle famiglie che quotidianamente incontriamo facciamo proprio questa proposta: un percorso di perdono verso loro stessi e di riconciliazione verso la famiglia rivale.
Le persone che incontriamo sono profondamente segnate dal dolore, fiere, incollerite e rassegnate. Entriamo in un mondo difficile da capire e da penetrare. Credo che lo scoglio più insormontabile sia l’arrendevolezza con cui le persone in vendetta accettano la loro situazione. Far ritrovare in loro la speranza in un futuro senza odio e violenza, farli uscire da quel labirinto buio è davvero un compito arduo. Ma il coraggio di tornare a sperare in un domani sereno viene solo da chi è toccato da questa sorte.
Inizialmente, nel periodo in cui conosciamo la famiglia, cerchiamo di farci conoscere e di proporre loro qualche attività (soprattutto ai giovani) concreta. Condividiamo un pezzo di vita insieme a loro, cerchiamo di essere partecipi quanto più possibile della loro condizione.  
Una volta che si instaura quel rapporto di fiducia e stima reciproca possiamo permetterci di “invadere” quella sfera intima e privata che riguarda la storia di vendetta di queste famiglie e proporre un cammino di riconciliazione. Spesso sono gli stessi capi famiglia che ci chiedono di fare da tramite fra le due famiglie in lotta.

Io mi presento alle famiglie come persona rancorosa e incapace di perdonare. Capisco la fatica che fanno questi nuclei familiari a perdonare, a chiedere scusa, a riconciliarsi. Capisco questa fatica perché, in minima parte, la vivo sulla mia pelle. Non mi sento una volontaria che va a insegnare qualcosa e che trasmette un messaggio già imparato e vissuto, ma una persona che sta crescendo con loro; una persona bisognosa di perdonare e di comprensione che si affianca a chi chiede di essere riconciliato. È un cammino, quello della riconciliazione verso sé stessi e gli altri, che è impossibile affrontare da soli.
Proprio questo mio limite nel perdonare e nel chiedere scusa mi porta ad annunciare con forza alle persone che incontro che la riconciliazione è l’unica via d’uscita da una vita di rabbia e disperazione. Solo chi riesce a ricucire le proprie ferite, a domandare perdono, ad abbassare i muri di rancore che si costruisce intorno, riesce a vivere in pace, a placare quella tempesta che ha dentro. È indispensabile saper perdonare e il perdono per crescere e costruire relazioni autentiche.
Ancora più difficile è la riconciliazione: incontrare chi è stato ferito a causa mia e incontrare me stessa in quanto feritrice.  
Perdonare e riconciliarsi non vuol dire cancellare il male fatto o subito ma rimarginare la ferita e trasformare la rabbia e il dolore in qualcosa di nuovo, di bello, di costruttivo.
“Ecco faccio una cosa nuova proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”