Aprile 2013

SITUAZIONE ATTUALE

La situazione generale rispetto al fenomeno delle vendette del sangue, rimane allarmante. Dall’inizio del 2013 non ci sembra che ci sia un’inversione di tendenza rispetto all’anno precedente per quanto riguarda il numero degli omicidi e gli episodi di “presa del sangue”. Non passa giorno in cui non si registri un episodio legato alle faide tra famiglie. Difesa dell’onore, vendetta personale per un furto, un insulto e un'offesa ricevuta, conflitti legati alla proprietà e all’irrigazione dei terreni sono tutti moventi che costituiscono l’articolato quadro in cui s’inseriscono gli omicidi che per semplificazione definiamo “faide di sangue”. In realtà la situazione non è semplice ed è formata da più sfumature. Ciò rende, per esempio, anche più difficile il monitoraggio e l’esatta quantificazione del numero degli omicidi per vendetta e della portata che il fenomeno ha sulla società. Infatti anche se un certo numero di omicidi non vengono compiuti in prima istanza per “prendere il sangue” perduto e quindi non li si classifica come tali, hanno lo stesso pertinenza con le faide. Molti episodi come ferimenti, tradimenti, rapine, insulti (alcuni dei quali non si fa nemmeno cenno nelle cronache) possono potenzialmente scatenare un omicidio e quindi come conseguenza avviare la dinamica della “presa del sangue” che per certi versi rappresenta solo una “fase” dell’escalation di violenza.
In questi mesi il governo è impegnato sulla candidatura alla UE e sulle prossime elezioni e il problema delle faide è di nuovo stato “nascosto sotto il tappeto”.
Di seguito citiamo un episodio successo a fine mese e che da l’idea della rilevanza e della pervasività del fenomeno della gjakmarrje (vendette di sangue). In un villaggio nei dintorni di Lezha un uomo di 63 anni è stato ucciso da due sicari. Subito è stato chiaro che il movente era legato alla “ripresa del sangue perduto”. L'uomo era, infatti, il nipote di un personaggio condannato per l'uccisione del padre di quello che, per gli inquirenti, è il mandante dell'assassinio. Uno degli aspetti di questa vicenda che più fa riflettere, oltre evidentemente al fatto che quest'uomo era innocente, è che l’episodio recriminato è avvenuto più di trenta anni fa! (Articolo in albanese). Ciò conferma quanto il fenomeno delle vendette di sangue sia radicato, imprevedibile e che non conosca limiti di tempo e età.     
Condivisione e lavoro
In questo mese le visite alle famiglie sono continuate con costanza e regolarità. Abbiamo effettuato alcuni accompagnamenti in carcere e ospedale per cure mediche. Siamo stati anche a Tropoja dove oltre alle consuete visite alle famiglie, abbiamo posto le basi per l’organizzazione delle attività estive. Lentamente ma costantemente prosegue il cammino di superamento della rabbia e del dolore con alcune famiglie e i frutti non tardano ad arrivare. L’abbassamento del livello di rabbia e del desiderio di vendetta è stato un risultato particolarmente prezioso che abbiamo registrato in una delle famiglie di Tropoja che già seguiamo da due anni circa. Il successo raggiunto non segna un punto di arrivo ma di partenza per poter affrontare anche altri punti particolarmente dolorosi, ma siamo ugualmente soddisfatti del lavoro effettuato e guardiamo con speranza al lavoro delicato che ci attende nei prossimi mesi. In questo periodo si è sempre fatta più chiara la necessità di svolgere un lavoro non soltanto sulle famiglie coinvolte nella gjakmarrje ma un intervento che incide nel contesto di vita delle famiglie come, per esempio, i vicini di casa e gli ambienti (scuola, lavoro, parrocchia...) frequentati nella quotidianità. Particolarmente interessante la prospettiva che veda un efficace lavoro di comunità che contribuisca a creare un contesto favorevole al perdono e alla riconciliazione. Determinante infatti, nelle dinamiche che portano alla vendette, è la pressione sociale che le famiglie e le persone singole avvertono e che si sentono quasi obbligate, (pena la loro credibilità e in ultima istanza la loro stessa identità personale e sociale) a rispettare.
Abbiamo continuato gli incontri con alcuni sacerdoti e suore che sono a contatto con le famiglie. Significativo l’incontro con il Vescovo della città di Scutari al fine di costruire una nuova sinergia degli sforzi verso obiettivi comuni. La prospettiva dei prossimi mesi, per ora più un sogno che una realtà, è la costruzione di basi e condizioni favorevoli per la costituzione di gruppi di “riconciliazione” formati da sacerdoti, suore, persone autorevoli, noi volontari, che di volta in volta concentrino gli sforzi per la riappacificazione di due o più famiglie, intervenendo non solo sui nuclei familiari coinvolti ma anche sul contesto di vita, creando delle condizioni favorevoli alla riconciliazione. Sul versante della sensibilizzazione della società civile e delle Istituzioni sul tema delle vendette di sangue, particolare impegno ha richiesto la campagna “5000 firme per la vita”.
Attualmente la campagna sta riscuotendo un notevole successo, sia sul numero delle firme finora raccolte sia per il riscontro positivo da parte della popolazione locale. Oltre che nella città di Scutari, siamo stati presenti con dei banchetti e la distribuzione di volantini a Tirana e nelle parrocchie cattoliche dei villaggi di Baize e Bardhaj.
L’intento per le prossime settimane è di continuare la raccolta firme non solo a Scutari ma anche a Lezha e altre città, anche di maggiore rilievo.
Continuano gli incontri di coordinamento fra le associazioni impegnate direttamente o indirettamente nel lavoro con le famiglie in vendetta anche in vista della manifestazione comune prevista per giugno prossimo. Il gruppo delle associazioni sta cercando di darsi un’identità diventando un coordinamento permanente. Per facilitare la formazione di un gruppo unito che opera attraverso un intervento di rete abbiamo partecipato insieme alle associazioni del coordinamento, ad un training di formazione di 2 giorni.
Le attività del gruppo ragazzi e del gruppo donne sono continuate anche se le donne sono state, in questo periodo, molto impegnate nel lavoro dei campi. Il nucleo centrale delle varie attività è stato concentrato nell’ultima settimana di aprile con l’arrivo di padre Gianfranco Testa che già da tempo collabora con noi sulla tematica del perdono. Grazie al suo aiuto abbiamo svolto un corso del perdono organizzando due turni, uno per i ragazzi e i giovani e l’altro per le donne. Gli incontri si sono svolti di pomeriggio per tutta la settimana e a giorni alterni hanno coinvolto i ragazzi e le donne. Al corso hanno partecipato anche persone non coinvolte nelle faide. I temi affrontati hanno riguardato il riconoscimento e la gestione delle proprie emozioni, la cura delle ferite dell’anima, la possibilità di umanizzare e dare un volto al proprio offensore. Di rilievo è stato il sottolineare che il perdono riguarda alcuni avvenimenti particolarmente dolorosi ma anche quelli meno significativi presenti nella vita di tutti i giorni. Le attività sono state concluse con un momento celebrativo di festa sia per le donne e i bambini che per i ragazzi con cui abbiamo giocato a calcio.
Il grado di partecipazione dimostrato hanno fatto segnare un bilancio positivo sull’andamento dell’esperienza. Il corso ha avuto il merito di coinvolgere intensamente persone che solitamente non hanno molte opportunità di riflessione sulla loro condizione di vita e non riservano risorse per la creazione di spazi d’interiorità. Oltre alle donne e ai giovani c’è stato un incontro con un gruppetto di uomini. Particolarmente interessante è stata la partecipazione di un uomo che aspetta la vendetta e di un altro che al contrario dovrebbe vendicare l’uccisione del padre. Dall’incontro è emerso che, anche se con prospettive e punti di vista diversi, il dolore e la lacerazione che segue ai conflitti tra famiglie sono comuni. Accettare il punto di vista dell’altro e la diversità di percezione di “come sono andate le cose” si rivela passo fondamentale e per certi versi obbligato al fine di superare l'odio e il rancore.

VOLONTARI
In questo mese sono stati presenti, oltre ai volontari di lungo periodo Laura, Giulia e Marcello, Alice e Tommaso che hanno rinvigorito il gruppo e di conseguenza rafforzato le attività del progetto. Fondamentale il contributo dei volontari locali: Dario B. attraverso la traduzione di testi; Francesca con il suo aiuto nel gruppo donne e nella raccolta firme; Sokol inserito nel gruppo ragazzi, nella raccolta firme e col suo apporto rispetto alla comprensione della cultura locale. Ammirevole la loro costanza e dedizione. Un ringraziamento anche a Valentina e Irene per la disponibilità e la particolare sensibilità che hanno dimostrato. Breve ma intensa è stata la presenza di Fabrizio che ha saputo dare al gruppo e all’andamento del progetto nel suo insieme entusiasmo e ottimismo.