OPERAZIONE COLOMBA è presente da 20 ANNI in PALESTINA

a fianco delle comunità del MASAFER YATTA, supportando la loro lotta quotidiana

contro l'occupazione israeliana.

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Il 4 maggio 2022 la Corte Suprema israeliana ha dato il via libera all'esercito di procedere con lo sfratto forzato con una sentenza che ha messo fine a una battaglia legale durata più di 20 anni. Anche di fronte a quello che per diritto internazionale altro non è che un crimine di guerra, le comunità del Masafer Yatta resistono tutti i giorni da 75 anni al piano di pulizia etnica portata avanti da Israele.

#SaveMasaferYatta

 

Aiutaci a non lasciare sole le comunità palestinesi del Masafer Yatta nella loro lotta in nome dei diritti fondamentali che quotidianamente gli sono negati.

 

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Per maggiori informazioni

Progetto Palestina

 

 

Oggi, giorno di “stacco” dal progetto (riposo), mi sono affacciata alla terrazza della nostra casa di Betlemme.
Verso le cinque la temperatura è perfetta, il sole scalda al punto giusto, il vento fresco percorre la valle, il rumore delle foglie della vite e degli ulivi del giardino di sotto accompagna i miei pensieri.
In una strada poco lontano dei bambini giocano un'improbabile partita di calcio su un campo improvvisato, con una pendenza con percentuali a due cifre.
Li guardo e mi godo questo frammento di normalità.
Bambini, rumorosi come tutti i bambini, che si sbucciano le ginocchia cadendo, come tutti i bambini, che litigano perché “no la regola non è così, lui bara” come tutti i bambini.
Mi viene da ripensare agli articoli che ho letto in questi giorni sui bombardamenti a Gaza.
Toni sensazionalistici, da una parte e dall'altra: “i terroristi”, “la resistenza”.
Penso anche alla descrizione dei palestinesi che a volte facciamo: gente  che ci insegna tanto, testarda e determinata, dignitosa, resistente, saggia...

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Traduzione dall'articolo originale pubblicato su +972 Magazine

di Ali Awad e Emily Glick* // Foto di Emily Glick

I palestinesi raccontano le storie che si celano dietro le cicatrici inflitte da coloni e soldati israeliani, la loro lotta per la sopravvivenza, il lutto, e il ri-apprendimento del proprio corpo di fronte a una violenza incessante.

“Ho perso la mia vita mentre sono ancora vivo. Bloccato nel mio letto, non sono in grado di guardare intorno me, né il mio villaggio né il mio futuro”.
Harun Abu Aram, 25 anni, vive in un letto d’ospedale improvvisato nel mezzo del deserto. Vive qui, con il suo corpo paralizzato da 572 giorni, da quando un soldato israeliano gli ha sparato un proiettile nel midollo spinale. La famiglia Abu Aram, che ha costruito la tenda dove oggi vive Harun, trascorre tutte le sue giornate lavorando per tenerlo in vita.
La pulizia etnica del Masafer Yatta, situata nelle Colline a Sud Hebron nella Cisgiordania occupata, si è velocizzata negli ultimi mesi. Dopo la sentenza del 4 maggio - che consente allo Stato di iniziare a trasferire forzatamente comunità palestinesi di otto villaggi della zona per far posto a un’area di addestramento militare - sono arrivati i bulldozer per radere al suolo decine di case.
L'esercito ha anche condotto un mese di addestramento con l’uso di armi, lo Stato ha aumentato il monitoraggio dei residenti e la targetizzazione degli attivisti nella regione. Gli otto villaggi situati all'interno della "Firing Zone 918" ospitano oltre 1.000 palestinesi che vivono in un continuo incubo di violenza.

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Il 25 Aprile non può essere una data di commemorazione fine a sé stessa.
La Festa della Liberazione ci ricorda il dovere di continuare a rivendicare e a lottare per quei valori di giustizia e libertà per cui tanti hanno dato la vita.
Questo è un impegno “umano”, che non riguarda solo il nostro Paese.  
Il 25 Aprile ci dovrebbe ricordare che la strada per un mondo di giustizia e di libertà è ancora lunga, tortuosa e non ammette indifferenza.
Che cosa vuol dire resistere al giorno d’oggi?
La risposta, molti di noi, l’hanno trovata in luoghi sperduti della Palestina.

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