Dal 12 al 14 febbraio i volontari di Operazione Colomba hanno effettuato un viaggio esplorativo nella Municipalità di Diber, che sorge in una zona piuttosto remota dell’Albania, difficilmente raggiungibile e che risulta fra le regioni più povere del Paese.
Uno dei principali motivi che ha spinto a voler conoscere proprio questa zona è stata la testimonianza di una ricercatrice albanese che vive e lavora nel Regno Unito, che ha condiviso la sua esperienza nel Distretto di Dibër.
Qui le è stato riportato che le vendette di sangue sono presenti, ma invece di perseguire la strada della violenza, il contesto sociale della zona tende a sostenere più le scelte di perdono e di riconciliazione tra le famiglie in conflitto.
Ciò che segue, è il report del viaggio.

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La Corte d'Appello di Ancona accorda la protezione internazionale per motivi umanitari a un richiedente albanese, al quale era stata negata in primo grado. La decisione è di grande importanza poiché riconosce che forme di giustizia consuetudinaria, come il fenomeno della vendetta di sangue secondo l'antico codice del Kanun, possono essere motivo di richiesta di tutela internazionale.

 

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Nel 2014, in occasione dello Universal Periodic Review (UPR) sull'Albania indetto dal Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU di Ginevra, i rappresentanti dell'Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII hanno denunciato, attraverso la divulgazione di un documento, le violazioni dei diritti umani causate dalla pratica del fenomeno delle vendette di sangue.

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Albania

La vendetta di sangue purtroppo è ancora presente in Albania e in Kossovo. Di seguito riportiamo un raro caso in cui la commistione tra antiche tradizioni e moderne istituzioni locali ha dato origine a una riconciliazione reale ed effettiva tra le famiglie in conflitto.

Il testo è tradotto dall’articolo riportato in Balkan Insight del 4 novembre 2016.

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