2 giugno in Cile

Negli ultimi anni la celebrazione del 2 giugno passa e quasi non me ne accorgo.
Non è che non dia valore all’opportunità che ho avuto di nascere e crescere in una democrazia repubblicana, ma alcune volte, quando una cosa c’è, si rischia di darla per scontata.
Quest’anno, però, è stato diverso: sarà per la guerra che alle porte d’Europa da più di un anno continua e rischia una escalation, sarà per le suggestioni di un podcast che mi ricorda l’assedio di Sarajevo, città dove ho tentato di andare senza successo.
Più probabilmente sarà perché sono al di là dell’oceano, dall’altra parte del mondo.
Sarà perché sono in Cile, un Paese che dopo una feroce dittatura è tornato alla democrazia nel 1988.
Un Paese che sta cercando di dimenticare la dittatura nata quell’11 settembre di cinquant’anni fa, ma che forse dovrebbe ricordarla; un Paese in cui le vittime della dittatura e quelli che si sono battuti per giustizia e libertà non vanno nelle scuole a raccontare.
Sì, forse da qui il 2 di giugno ha più senso, più valore, o forse sono io che da qui capisco meglio il valore della nostra Repubblica e della nostra Costituzione.
In questi giorni ho riletto l’articolo 11: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
In questo 2 giugno in Cile come volontari di Operazione Colomba abbiamo accompagnato un gruppo di giovani studenti mapuche che manifestavano nelle strade di Valdivia per ricordare all’opinione pubblica che, in nome del progresso e dell’energia, non è giusto distruggere un fiume, il rio Pilmaiken. Non è giusto inondare un luogo sacro e un antico cimitero, e non è giusto disturbare lo “Ngen Kintuante”, lo spirito che secondo i mapuche abita sulle sue rive.


Da molti anni alcune comunità che vivono vicino al fiume denunciano l’impresa statale norvegese Statkraft e lo Stato cileno, di non ascoltarli, di voler deliberatamente cambiare il corso del fiume per produrre energia idroelettrica per l'esportazione, che di fatto non serve a quel territorio. Questo piccolo gruppo capeggiato dalla machi (autorità spirituale mapuche) Millaray, sta resistendo e continua a chiedere di essere ascoltato. Chiede che l’impresa sottoponga il progetto idroelettrico, che è ormai in stato avanzato, ad una valutazione di impatto ambientale, ad una reale consulta indigena, e che l’ente cileno che protegge i beni storici, riconosca e difenda i reperti mapuche trovati nello scavo del cantiere.
Una lunga lotta, molte battaglie perse e qualcuna vinta. Recentemente una manifestazione davanti al cantiere è finita con spari di lacrimogeni e pallini di piombo da parte delle forze di sicurezza cilene sui manifestanti. Molti sono stati i feriti, e uno di loro rischia di perdere un occhio.
Sfilano ordinatamente nella loro protesta i giovani studenti mapuche, fieri, anche se non tutti gli sguardi dei passanti sono d’approvazione. Sfilano e urlano la loro protesta contro l’impresa, per difendere il rio.
Tornando a casa ripenso a questa manifestazione e penso che a Roma per celebrare la Repubblica, la Democrazia e la Costituzione, continuiamo a far sfilare i carri armati e i soldati a passo di marcia. In cielo le frecce tricolore, sicuramente molto scenografiche, ma di nuovo penso a chi sono io e alle decisioni fatte molti anni fa quando sono stato costretto a far scegliere alla mia coscienza se prendere in mano o meno un fucile.
Ricordo quella scelta, essere obiettore di coscienza, sentire che lo strumento militare non era il mio, sentire che la Pace si costruisce senza armi, che si costruisce mettendoci la vita.
Queste scelte me le porto ancora dietro. Penso alla marcia dei giovani studenti mapuche e penso che mi sento più rappresentato dalla loro camminata per le vie di Valdivia che dalla parata militare di Roma.
Sì, non ho paura a dire che non mi sento rappresentato dall’esercito e dallo strumento militare. Non mi sento rappresentato dalle parate militari, e penso anche che queste non possano rappresentare al meglio la nostra Repubblica, la nostra Democrazia e la nostra Costituzione.
Non ho nemmeno paura a dire che oggi, come molti anni fa, mi dichiaro anti militarista!
Nulla contro le persone, ma contro l’istituzione militare e i governi che, nonostante la Costituzione parli chiaro, continuano a perseguire una politica di guerra e non di Pace.
Buon 2 giugno a tutte e tutti!

Fabrizio

Per sapere sapere di più della lotta in difesa del rio Pilmaiken ascolta la storia della machi Millaray dal podcast Storia del popolo Mapuche fra passato e presente:
- Storia di resistenza e autorità ancestrali – prima parte: CLICCA QUI
- Storia di resistenza e autorità ancestrali – seconda parte: CLICCA QUI