Diari da Lesbo (Grecia) – Dicembre 2020

2 dicembre, Mitilene (Lesbo)
Stamattina è arrivata la notizia di un naufragio nella zona di Palios, una barca con 32 persone a bordo provenienti dalla Somalia si è ribaltata.
Ci sono in corso le operazioni di recupero della Guardia Costiera, pare che in 30 siano stati salvati, mentre due corpi sono ancora dispersi.
A sera, è stato ritrovato il corpo di una giovane donna somala, l’altro ancora no.
Stasera sono andata a passeggiare sul lungomare di Mitilini, c’è un po’ di vento e ho bisogno di silenzio, le storie che arrivano dal campo profughi di Kara Tepe e le continue violenze che i richiedenti asilo subiscono qui sono forti e faccio fatica a digerirle.
Ho in testa il corpo della donna somala, ritrovato senza vita, morta mentre cercava di attraversare questo pezzo di mare dalla Turchia all’Europa.

Ho la Turchia di fronte a me, si scorgono le luci e i lineamenti dei monti, è così vicina.
E il lungomare è così bello, c’è un piccolo porto in cui le barche dei pescatori sono parcheggiate e diverse persone che fanno jogging sul marciapiede.
Guardo il mare e ho il terrore di vedere il corpo disperso del naufragio di stamattina, che ancora non è stato ritrovato.
Ho il terrore di trovarlo da un momento all’altro tra gli scogli, con dei vestiti, giovane, scoprirlo simile a me.
Penso a quanto sia bello il lungomare di Mitilene e quanto sia allo stesso tempo sporco di morte.
A quanto sia bello questo mare e quanto sia ladro di sogni, di speranze, di preghiere.
E a quanto, noi che stiamo da questo lato del mare, spesso non ce ne rendiamo conto.
M.

3 dicembre, Mitilene (Lesbo)
Al campo di Kara Tepe 1, il nuovo campo costruito dopo l’incendio di Moria e gestito da UNHCR ed autorità greche, da una settimana manca l’acqua.
Oggi, mentre passeggiavamo per il centro di Mitilene, abbiamo incontrato W., una ragazza di Deir Al Zur, siriana.
Ha ventisette anni e una storia di guerra alle spalle, è riuscita ad arrivare qui due anni fa, traversando il mare con un barcone e ha vissuto a Moria, dove oltre alla disperazione della vita nel campo subiva le violenze di suo marito.
Adesso è divorziata e vive nel tendone delle single ladies, una serie di tende nel campo in cui donne sole vivono insieme, a gruppi di otto.
È tanto carina, chiacchieravamo alternando termini in arabo ed inglese, l’abbiamo incontrata mentre tornava dalla casa di una sua amica che vive in un appartamento a Mitilene e che una volta a settimana le permette di fare la doccia da lei.
“Quando c’è l’acqua al campo è molto fredda e non mi sento molto sicura a lavarmi lì perché i box non sono controllati” ci spiega “sono fortunata perché io ho un’amica che mi presta il suo bagno ogni tanto, ma molte ragazze si lavano in tenda con le bottigliette d’acqua”.
Con un sorriso amaro ci ha detto che è una lotta cercare di conservarsi, anche nel semplice atto di essere puliti, avere cura del proprio corpo.
Alza le spalle e smette di parlare, poi ci ringrazia e si dirige verso il campo, lasciandosi dietro una scia di profumo.
M.