Mi chiamo Selma ho 4 anni.
Salto la corda 1,2,3 oplà.
Corro insieme agli altri bambini nel campo di Mavrovouni, giochiamo a nascondino e poi di nuovo corriamo tutti quanti dietro a una palla…
1,2,3 stella, ma ecco mi chiama la mia mamma, devo andare alla mia tenda.
Mentre corro saltellando, canto a squarciagola, sul mio viso è stampato un grande sorriso, i miei capelli folti e neri si appiccicano sulla mia fronte sudata, che bello giocare con i miei amici… che bella giornata.
Il sole tramonta e scende la sera sulle tende del campo qui a Lesbo, le stelle cominciano a brillare e vedo la luna che pian piano diventa sempre più grande e illumina la strada che devo fare dalla mia tenda ai bagni chimici: mamma arrivo, vado a lavarmi le mani.
Che fame che ho, la mia mamma ha cucinato il Bolani  e tutta la tenda profuma di cibo succulento.
Finalmente questa sera non c’è nessuno a fare la fila ai bagni, farò presto…

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Caro Papa Francesco,

Qualche giorno fa sei venuto al campo di Mavrovouni per incontrarci, per porgerci la tua mano e per guardarci negli occhi.
Sei venuto unicamente per noi, per dare voce a chi, come me, non ce l’ha. Io ero lì, a pochi passi da te.

Non ho avuto la possibilità di parlarti e di raccontarti la mia storia, per questo motivo colgo l’occasione di farlo in questa lettera.

Mi chiamo Djahra, sono una ragazza afghana, di etnia hazara, ho 26 anni.
Vivo con la mia famiglia nel campo profughi di Mavrovouni, a Lesbo, in un container, più sicuro di una tenda, ma che ci costringe comunque in una condizione poco dignitosa e insostenibile nel tempo.

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Caro Papa Francesco,

sono Marta, ho 23 anni e sono una volontaria di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Da un mese ormai mi trovo sull'isola di Lesbo, una terra che ha visto negli ultimi anni migliaia di rifugiati approdare sulle sue coste alla ricerca di una vita dignitosa.
Qui, come in altre Isole dell'Egeo, sono stati costruiti campi di "attesa" per i richiedenti asilo.
Sono campi chiusi e controllati, dove le persone vivono in condizioni disastrose.
Si possono paragonare a delle prigioni a cielo aperto.

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Caro Papa Francesco, so che verrai a Lesbo fra qualche giorno.

Mi chiamo Samir e sono afgano di etnia hazara. Sono nato a Herat e ho 15 anni. Spesso mi siedo da solo su una panchina a fissare il mar Egeo, a pensare a come sarebbe la mia vita se non fossi arrivato qua, a dove sarei in questo momento, in quale parte del mondo. Penso a tutto quello che mi è successo in questi anni e provo dolore, rabbia e amarezza. Provo tanta nostalgia per la mia casa.
Mia madre è morta quando ero piccolo mentre mio padre è anziano e malato. Mi sono ritrovato solo, catapultato nel mondo senza la certezza del domani. Ho dovuto crescere in fretta e fare delle scelte come se fossi adulto: vivere o sopravvivere.
Sono partito da solo per l’Europa alla ricerca di un luogo sicuro e di una vita dignitosa. Ho attraversato il mare che divide la Grecia dalla Turchia, non avevo mai visto il mare prima.

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