ΕΛΠΊΔΑ: SPERANZA

Immaginatevi un grande parcheggio con un lato che si affaccia sul mare e, attraccata a questo parcheggio, una nave a tre piani in attesa di partire.
Su un altro lato del parcheggio, con le spalle appoggiate al muro oppure seduti sul marciapiede, molte persone sono in attesa.
Qualcuna di loro ha il volto splendente perché, finalmente, ha ottenuto i documenti, può lasciare l'isola e costruirsi davvero una nuova vita.
Qualcun altro è felice per il suo amico o familiare che, dopo anni di prigionia nei campi di Lesbo, è finalmente libero di partire ma, allo stesso tempo, ha lo sguardo sospeso perché sa che lui, invece, qui sull'isola dovrà passare ancora molto tempo, forse anni.
Anche Stefano arriva al porto.
Non è questo il suo vero nome, ma lo chiamerò così, con un nome italiano, in modo da poterlo sentire piú vicino. Perché, purtroppo, se lo chiamo Mohamed, Ismail o Anel lo sentiamo molto lontano e la storia di Stefano ci scorre via dal cuore dopo 5 minuti, invece di rimanere in circolo dentro di noi.

Mentre leggete la sua storia, vorrei che immaginaste vostro figlio adolescente, oppure vostro fratello, o un vostro amico quando è a scuola, seduto in classe insieme ai suoi compagni, intento a prendere appunti mentre la maestra spiega la lezione del giorno.
Forse la lezione non è molto accattivante o forse sì.
Sta di fatto che Stefano ha solo 14 anni e di certo ha molta voglia di giocare, molta energia che cerca di uscire e grandi sogni nei quali perdersi; quindi ogni tanto si distrae, scambiando qualche occhiata di complicità con il suo vicino di banco, oppure assentandosi un attimo nei suoi pensieri.
A un certo punto, però, arriva un buio assordante che blocca tutto questo e la scuola di Stefano non esiste più.
I suoi compagni? Non lo sappiamo.
Sappiamo solo che Stefano viene portato via.
Viene portato in Turchia per farsi curare perché in Siria neanche gli ospedali ci sono più.
Quando si riprende, è in un Paese che non conosce e a casa, di certo, non può tornare. E non può tornare nemmeno a scuola.
Adesso deve lavorare, ma in Turchia i siriani non sono ben visti e Stefano è sottoposto a un continuo sfruttamento.
Per qualche anno lavora ore ed ore al giorno in una fabbrica di tessuti, pur di riuscire a mandare qualche soldo a casa, ma le condizioni di vita sono insostenibili e decide di partire.
Arriva a Lesbo ancora minorenne e senza avere più contatti con la sua famiglia.
Suo fratello è stato incarcerato cinque anni fa e sua madre, suo padre e sua sorella sono in Siria, ma da tempo non riesce più a mettersi in contatto con loro.
Sbarcato a Lesbo, finalmente in Europa, presenta la sua domanda di asilo, fiducioso di poter trovare accoglienza nella "terra dei Diritti Umani", nella terra in cui spera di poter trovare finalmente la pace.
Ma queste sue speranze si trasformano velocemente in un'illusione e, per due anni, il tempo per Stefano resta sospeso.
È costretto a vivere in campi in cui le condizioni di vita non sono umane, in cui il sole è cocente e non ci sono né un filo d'ombra né un po' d'acqua fresca.
Campi in cui, in inverno, freddo e vento penetrano dentro alle tende di plastica.
Luoghi in cui si rimane in attesa, aspettando di ricevere una risposta alla domanda di asilo.
Luoghi in cui, anno dopo anno, la speranza si consuma.
Quando si entra in questi campi, si perde perfino il nome e ora Stefano è solo una serie di numeri che stanno a indicare il suo caso legale.
Dopo due anni di attesa, per Stefano arriva una risposta ma non è quella che sperava.
Non gli è stato riconosciuto l'asilo e non può rimanere in Grecia.
Deve tornare indietro perché, in seguito all'accordo che la "nostra" Europa ha siglato con la Turchia, quest'ultima è considerata terzo Paese sicuro per i siriani.
E anche per i curdo-siriani.
Le violenze che questi subiscono in terra turca sembrano non esistere agli occhi dell'Europa.
Ormai Stefano ha perso la speranza di poter ottenere qualsiasi accoglienza qui in Grecia e, per una seconda volta, deve partire.
Questo viaggio, però, sarà molto più lungo e pericoloso: chi parte per la c.d. Rotta Balcanica lo sa bene.
Talmente bene che i profughi non la chiamano nemmeno così, ma "The Game" (Il Gioco).
Infatti, in questo viaggio disperato, che spesso rappresenta l'ultima speranza per tante persone come Stefano, si mette in gioco la vita.

Siamo nel parcheggio del porto e, da lontano, vediamo arrivare Stefano con lo zaino sulle spalle, accompagnato da due ragazzi, mentre una decina di altri giovani lo aspettano con ansia e preoccupazione vicino all'imbarco.
Gli andiamo incontro e ci sorride felice per il fatto che i suoi amici sono venuti a salutarlo nel giorno in cui ha deciso di "giocare".
Per la seconda volta Stefano deve lasciare i suoi affetti.
Deve lasciare i suoi amici, quelli che sono stati la sua seconda famiglia e gli sono stati accanto fino all'ultimo.
Stefano è sempre sorridente, perfino oggi, ma quando ci abbraccia le lacrime iniziano a riempirgli gli occhi; il suo giovane viso circondato dai bei lunghi capelli mossi neri non riesce a nascondere l'agitazione e le preoccupazioni che prendono sempre più spazio dentro di lui mano a mano che il "Game" si avvicina.
Ci saluta e ci abbraccia uno a uno.
Facciamo l'ultima foto insieme.
Cantiamo l'ultima canzone insieme.
Poi arriva il momento del distacco, Stefano si imbarca e si dirige subito sugli ultimi piani della nave, sul tettuccio, per poterci vedere e per stare ancora un po' con noi.
Per non lasciarci andare fino all'ultimo.
Per poter imprimere nella mente quelle persone che, forse, gli hanno regalato un po' di Amore in questi anni di solitudine, che lo hanno condotto lontano dalla famiglia e che gli hanno portato via tutti i sogni che un quattordicenne poteva avere.
Si ferma sul tettuccio della nave, ci guarda e continua a disegnare cuori con le mani.
Non ci perde con lo sguardo nemmeno un secondo e quei cuori che mima in lontananza, quelle mani che gesticolano in continuazione sono l'unico modo che ora ha per comunicarci le sue emozioni, per dirci che ci vuole bene e che ci porterà con sé in questo lungo viaggio.
Dal momento in cui la nave lascia il porto, Stefano sa che ha iniziato a giocarsi la vita.

Mariaserena