Omar - Storia

Omar disegna sempre, nei suoi momenti bui e in quelli felici, è una sorta di terapia per lui.
Gli piace molto disegnare a matita, in bianco e nero, riscoprire le sfumature, le ombre e i punti di luce.
I suoi piccoli occhi neri color pece rinascono ogni volta che gli chiediamo di mostrarci i suoi lavori.
Ci tiene a raccontarci la storia che sta dietro a ogni suo disegno, ripercorrono la storia della sua vita: il tempo trascorso nelle prigioni dell’ISIS anche se era solo un ragazzino innocente, la violenza della guerra in Siria, la nostalgia per la sua casa e l’assenza dell’affetto materno.
Omar è scappato dalla prigionia dei terroristi grazie a una bomba che ha distrutto l’edificio; mentre scappava i guardiani gli hanno sparato ferendolo.
Lui ha continuato a correre finché non è svenuto per terra.
Si è svegliato a casa di sconosciuti che lo hanno curato per giorni fino alla totale ripresa e ricontattato la sua famiglia.
Era un giovane ragazzo in piena adolescenza, quando ha deciso che casa sua non era più un luogo sicuro per lui.
Ha intrapreso il viaggio verso l’Europa insieme ai suoi sogni per il futuro, al suo desiderio di trovare un po' di pace, alle aspettative di coltivare le sue passioni, e ai dolori e alle cicatrici della violenza e delle torture, con la forza di un ragazzino che non si piega alle avversità della vita.

Ha un viso dolce, i suoi lineamenti sono tratteggiati con delicatezza e una perfetta armonia.
Due piccole fossette rivivono nelle guance olivastre ogni volta che sorride, mentre i suoi occhi luminosi riabbracciano il mondo.
Gesticola con vitalità mentre parla, come un neonato nelle braccia materne.
Ha un corpo esile ma sano, che porta i segni di un vissuto difficile.
Le cicatrici nelle sue braccia e nel suo busto rivelano lo sconforto dei campi profughi in Grecia.
Nei suoi momenti più neri credeva che non ci fosse spazio per lui in questa terra, non sopportava più il dolore nella sua anima, non tollerava più le ingiustizie e le umiliazioni, non credeva più nella primavera.
Era un ragazzino che la vita aveva già sconfitto, la disperazione lo prendeva a tenaglia e lo schiacciava.
Il male di vivere con la sua arroganza e prevaricazione lo consumava, giorno dopo giorno.
L’ho conosciuto mentre il nero dell’esistenza gli stava rubando i colori della vita.
Viveva al campo di Mavrovouni tra i soprusi e le vessazioni dei prepotenti.
Nell’ingiustizia, nella discriminazione e nell’indifferenza di un Paese che lo doveva proteggere perché acerbo alla vita.
Un Paese che ha deciso che i suoi Diritti e la sua dignità non andavano tutelati.
Un Paese che lo ha costretto a trascorrere anni nell’inferno del campo di Moria divorato dalle fiamme.
Un Paese che usa la violenza e le intimidazioni come giurisprudenza.
Un Paese che crede che la risoluzione di qualsiasi problema siano i campi “detentivi”.
Omar non si merita un’altra prigione, non merita di essere rinchiuso un’altra volta da innocente solo perché è scappato da una Siria martoriata dalla guerra.
Omar merita i colori, le forme, le note e la vita.
Omar merita Diritti e giustizia!