La prima notte eravamo solo noi, o almeno così pensavamo.

La prima notte che siamo andati eravamo solo noi.
Avevamo saputo di ciò che era successo in mattinata al campo di Eleonas e volevamo assicurarci che la situazione fosse tranquilla.
Nella prospettiva di evacuare e chiudere il campo, le autorità greche hanno pianificato i trasferimenti delle persone che vivono all'interno, senza lasciar loro alcuna possibilità scelta.
La destinazione di questi spostamenti riguarda principalmente altri campi, molto più lontani dal centro abitato e dai servizi: il più vicino, quello di Schistou, si trova a un'ora di autobus da Atene.
Sembra un paradosso: dopo aver protestato contro l'esistenza di queste strutture e di questo stesso campo, ci troviamo ora a stare accanto a coloro che ci vivono per far valere il loro diritto di rimanerci, o perlomeno di richiedere una sistemazione alternativa in prossimità della città.
Dopo gli scontri del 19 agosto, avvenuti tra la polizia e le persone che protestavano contro i trasferimenti forzati, attorno alla questione di Eleonas si è sviluppata maggiore attenzione.
La prima notte eravamo solo noi, o almeno così pensavamo.

Pochi giorni dopo abbiamo incontrato un collettivo locale di solidarietà con i migranti, molto attivo sul territorio e direttamente coinvolto nella denuncia delle violazioni dei Diritti dei richiedenti asilo da parte dello Stato greco.
Insieme a loro abbiamo tenuto costantemente monitorata la situazione ad Eleonas, suddividendoci i turni di notte e confrontandoci ogni giorno con i protagonisti della protesta, in gran parte congolesi, tra cui un nostro caro amico.
Ci dicono che all'interno del campo il clima è molto teso: chi si rifiuta di essere dislocato e si unisce alle proteste viene minacciato dalla direzione, rischiando che la procedura per la propria domanda d'asilo venga ostacolata, se non addirittura annullata.
Nonostante si tratti di un'azione illegale, sembra che la manager del campo, non si faccia alcuno scrupolo a metterla in pratica.
I video dei disordini della settimana precedente hanno esposto parecchie persone, che ora possono dirsi tutt'altro che al sicuro.
Qualcuno ha scelto di andarsene dal campo per evitare ulteriori complicazioni: la pressione da sostenere è troppa e lo sono anche i rischi.
I trasferimenti avvengono spesso di notte e coloro che devono essere dislocati lo sanno tendenzialmente pochi giorni prima.
Per questo motivo abbiamo avuto il tempo sufficiente per organizzarci insieme al collettivo di solidarietà, di cui fanno parte anche parecchi internazionali.
Abbiamo presenziato alle porte del campo per due notti di fila, accanto ad alcuni congolesi di Eleonas.
Il trasferimento, che sarebbe dovuto avvenire la notte tra il 29 e il 30 agosto, è stato poi posticipato al giorno successivo.
Nelle prime ore del 31 agosto, però, le luci blu che abbiamo visto approcciarsi all'ingresso del campo non erano solo quelle della polizia, ma anche di un'ambulanza.
Tramite le persone che vivono nel campo abbiamo saputo del decesso di un uomo pakistano: qualche ora prima aveva accusato i sintomi di un infarto ed erano stati chiamati i soccorsi, che sono arrivati con tempistiche tutt'altro che adatte ad un pronto intervento.
All'interno del campo non è garantito alcun servizio sanitario e, in caso di necessità, si può fare affidamento su un aiuto esclusivamente esterno, di conseguenza non immediato.
La morte di questa persona è stata un imprevisto che ha portato le autorità a non effettuare il trasferimento.
Ancora non sappiamo ciò che succederà, né le modalità con cui le autorità greche decideranno di portare avanti lo sgombero del campo.
Sappiamo solo che, finché al suo interno rimarrà una persona a reclamare la propria libertà decisionale e i propri Diritti di essere umano, noi saremo lì a sostenerla, a qualsiasi ora.
Ciò che speriamo accada è che con l'inizio dell'anno scolastico, che coinvolgerà parecchi bambini richiedenti asilo, venga riconosciuto loro il Diritto a ricevere un'istruzione adeguata e continuativa.
In questo modo sarebbe possibile interferire con la pianificazione della chiusura del campo e quindi con i trasferimenti forzati verso aree isolate.
Nel frattempo, noi restiamo qui, accanto a queste persone, il cui primo desiderio è quello di vivere e non di sopravvivere.