Devo ringraziare Nur

Stasera sono stata a casa.
Nel senso che sono entrata in una casa sconosciuta, in cui c’era un mix di Siria, Palestina, Turchia e Italia e in cui a stento eravamo in grado di comunicare, e mi sono sentita a casa.
Devo ringraziare Nur per questo, e i suoi 4 anni e 5 mesi di allegria esplosiva.
Non mi aveva mai vista, ma mi è corsa incontro abbracciandomi e proponendomi un susseguirsi di giochi che per magia hanno funzionato.
Mi si è aggrappata alle spalle allargando le braccia come per volare, ridendo come solo i bambini e i liberi sanno fare.
Mi ha proposto il suo peluche, la bambola che ha perso i capelli, un orsetto senza un occhio.
Le ho proposto di disegnare, lei mi ha lanciato un arcobaleno di palloncini.
E rideva, quanto rideva.
Brava chi l’ha portata fino a qui, via dalla Siria, da un padre morto, probabilmente ucciso, via dalla Turchia, via da Kos, dalle tende, dal freddo paralizzante e dal caldo soffocante, via da Atene, presto.
Si vola via.
Un gioco mi è rimasto negli occhi.

Nur giocava con la porta chiusa, tentando di aprirla con delle mollettine per i capelli e proponendomi di fare lo stesso, per poi allargare le braccia con l’espressione di chi vuole far capire che quella porta, in quel modo, non può essere aperta.
Certo era solo un gioco, ma a me ha fatto pensare a quante porte chiuse quei 4 anni di vita hanno incontrato.
Molte più di quelle che ho incontrato io nella mia.
E poi via, mi invita a spiare dalla porta socchiusa un'altra volontaria che sta telefonando, e ride sotto i baffi.
Lei non lo sa, ma quando l’ho vista affacciata a quello spicchio di porta socchiusa avrei voluto abbracciarla stretta e tuffare il viso nei suoi capelli neri.
Vola bambina, buona fortuna, Inshallah.
D.