Un abbraccio

I miei occhi incrociano un ragazzino, avrà 15 anni e non di più.
Fa parte del gruppo di minori non accompagnati che è arrivato sull’isola di Cipro.
Quindi è solo. 
È molto magro e ha il viso scarnito.
Lui non si accorge di me, non si accorge di nessuno nonostante abbia delle persone intorno. Aggrotta la fronte, fa un’espressione di dolore e inizia a piangere.
Si porta le mani sulla testa, tra i capelli neri e folti, poi sulle tempie; inizia a tirare fuori dalle sue labbra dell’aria e scoppia in un pianto che non riesce a controllare.
Sbatte i pugni contro un palo di ferro ed emette dei rumori che sono gridi soffocati.
Vorrebbe sicuramente urlare ma non lo fa: è l’unica cosa che riesce a controllare.
Invece le lacrime no, non le controlla e scendono come cascate che gli bagnano il viso.
Mi guardo velocemente intorno e gli altri non si accorgono di lui.

Sento dentro di me una morsa che mi prende lo stomaco, sento una pena che non riesco a descrivere.
Mi avvicino piano, sono a un passo da lui e lo abbraccio stretto, senza dire neanche una parola; lui non fa resistenza e ricambia l’abbraccio.
Non posso dirgli che tutto passerà presto, non posso dirgli che andrà tutto bene, non posso dirgli che lascerà presto questo posto... non posso perché sarebbe una menzogna.
Non so il suo nome, non so perché, tra i mille e mille motivi che ha, stia piangendo così disperato. Non so nulla!
So solo che sento ancora sulla spalla i suoi singhiozzi, in un abbraccio durato il tempo di un respiro e di un tormento.

M.