Io parto

L'ultima cosa che ho guardato eravate voi due, che vi allontanavate spalla a spalla.
E il tuo zaino rosso che diventava un puntino lontano.
Voi due, così diversi e così preziosi.
Voi due che restate, mentre noi andiamo.
Avrei voluto urlare fortissimo.
Perché il pensiero di questa libertà imprigionata mi fa impazzire.
Questa prigionia strutturale, procedurale, perseguita con ogni mezzo legale e illegale, questa prigionia fisica e mentale, prigionia del futuro, dei desideri, delle vite.
È un'ingiustizia inaccettabile.
Io parto.
Porto con me la maglia che ci siamo scambiati al porto, ma non ci sei tu dentro la tua maglia.
Eppure salire su un traghetto è così semplice, scontato.
Porto con me i braccialetti che mi hai regalato, il tuo biglietto, lo sguardo paterno che hai con tutti, il tuo parlare di quella che consideri la tua mamma, la tua fede incrollabile, il tuo “it is what it is”, la tua insistenza nel nutrire tutti fino a farli scoppiare, come solo certe nonne fanno, il tuo sguardo timido, la tua risata che cresce come una scala, la tua riservatezza, la ricetta del chapati e del chai con il latte, la tua storia, i sogni confidati, quei balli sgangherati, la promessa che balleremo insieme quando tornerò, la tua fissazione per le cose “healthy”, quella sera in cui hai capito che sono a disagio quando tiro le maniche della felpa.

Ora tiro giù quelle della tua e sorrido.
Sono incavolata e grata.
Tornerò ma tu non lo sai, perché dipende da me.
Perché io posso salire e scendere dalle navi e dagli aerei, posso muovere passi al di fuori di quell'isola meravigliosa e dolorosa.
Il tuo zaino rosso invece deve aspettare un altro tempo per partire.
Un tempo che odio.
Un tempo che spero arrivi senza troppo dolore.