Questo è il risultato: qui dentro si muore

Quando riceviamo la video-chiamata di J., una nostra amica congolese che vive nel campo di Ritsona, non capiamo subito cosa ci stia dicendo, ma notiamo che si trova fuori dal campo con molte altre persone, sentiamo una gran confusione in sottofondo e percepiamo la preoccupazione nella sua voce.
Non ci sono dubbi: sta succedendo qualcosa al campo e noi dobbiamo esserci; non aspettiamo oltre e ci mettiamo subito in macchina.
A pochi chilometri dal campo veniamo fermati dalla polizia perché la strada è bloccata, lasciamo la macchina e proseguiamo a piedi: i nostri amici ci aspettano e noi vogliamo essere lì con loro.
Una volta arrivati vediamo molte persone della comunità congolese, soprattutto donne, fuori dal campo; alcune urlano, altre piangono, altre ancora raccolgono pezzi di gomma per accendere un fuoco: “è morto un ragazzo, ha quattro figli”, ci dicono, “è solo negligenza, questo è puro razzismo”.
Ci dicono che avevano chiamato l’ambulanza ieri sera alle 17, ma non si è presentata prima di questa mattina, quando ormai era troppo tardi.
O. è morto nell’attesa.

“Il cibo non c’è, l’acqua non c’è, la protezione internazionale non esiste, questo è il risultato, si muore qui dentro”, le voci delle donne continuano imperterrite a urlare e a dire ai connazionali di uscire.
Viene acceso un fuoco con quello che si è trovato ai bordi della strada (gommoni, cuscini, abiti), niente li ferma.
Quando le erbacce sono finite, una donna inizia a tagliarsi i capelli e buttarli in mezzo al fuoco, un po' a simboleggiare che il fuoco dentro di loro non è facile da spegnere.
Li richiamano dentro, vogliono parlare, capire cosa fare.
Le donne ci prendono per mano e ci trascinano dentro “ce sont les italiens, ce sont nos amis” (sono gli italiani, sono nostri amici), urlano alle guardie, quando ci dicono che non possiamo entrare.
Ci trascinano in mezzo alla folla, vogliono che ci siamo anche noi per ascoltare, per mediare, per fare video o anche solo per vedere dove vivono, o meglio dove sono costretti a vivere.
Chi gestisce il campo non ci permette di restare, ci scusiamo con le nostre nuove amiche e ci abbracciamo, con la promessa di rivederci presto.

C.