Ventimiglia - 9 agosto 2023

Ero stata a Ventimiglia quando avevo 10 anni e, avida lettrice di Salgari, approfittando di una vacanza in Liguria, avevo pregato i miei genitori di portarmi a visitare la città d'origine del mitico Corsaro Nero - personaggio completamente inventato. Della città non ricordavo nulla, sentivo solo quei ricordi affettivi che richiamano più un'emozione del cuore che l'avvenimento della visita.
Ci sono tornata questa volta solo per una visita veloce insieme a un altro volontario, per farmi un'idea di come sia il confine più a ovest d'Italia, punto di fuga di moltissime persone che vogliono raggiungere la Francia e spesso proseguire anche oltre.
E com'è quindi? Sono molti i passaggi di confine, innanzitutto: due stradali, uno ferroviario, e altri attraverso i sentieri impervi tra le rocce. Ognuno implica rischi diversi, per chi ha la sfortuna di non avere documenti validi che garantiscano un "benvenuto" al momento del passaggio; si va dal rischio di essere respinti ed espulsi per tre anni su un treno o un autobus internazionale, al rischio di morire se si cammina sui binari al momento sbagliato. Insomma, ci vuole molto coraggio in ogni caso, e forse una buona dose di incoscienza. Del resto, per chi è sbarcato a Lampedusa dopo una traversata da incubo nel Mediterraneo, sembra l'ultimo tratto da superare, sembra che il più sia stato fatto. Ma non è così.

Incontriamo alcuni ragazzi originari della Guinea e qualche marocchino, appena respinti al confine italo-francese, che se ne tornano mesti verso la città di Ventimiglia; qualcuno è in viaggio da ottobre scorso, è partito da casa propria 10 mesi fa. Sono tutti francofoni e vedono la Francia come meta di approdo ideale, anche solo per la comprensione linguistica. Alcuni sono minorenni e ingenuamente si sono dichiarati maggiorenni a Lampedusa, convinti che avrebbero potuto così lavorare da subito, finendo invece per essere espulsi ancora più rapidamente. Quando gli viene spiegato da alcune volontarie internazionali, ci restano malissimo. La delusione è visibile nei loro sguardi, uno continua a ripetere tra sé e sé “Bon Dieu! Bon Dieu!”.

Questi ragazzetti hanno le stesse espressioni dei 16enni italiani e, come loro, si appellano vicendevolmente “Bro”. C’è chi indossa il cappuccio ben calcato sugli occhi, nonostante il caldo estivo, chi chiede come orientarsi per la strada ma non ha pensato nemmeno di scaricare sul telefono GoogleMaps, chi si stupisce che qualcuno di noi conosca le città da cui provengono. Le volontarie sul confine se ne prendono cura per i pochi istanti in cui li intercettano tra il respingimento e il ritorno a Ventimiglia; li nutrono a suon di piattoni di riso e tè, spiegano loro tutte le procedure legali a cui vanno incontro, li indirizzano presso altri servizi in città: sono le sorelle grandi a cui si affiderebbe qualunque adolescente smarrito che ha bisogno di un consiglio. Giovani bimbi sperduti senza Peter Pan, alla ricerca di un’isola di salvezza che, in effetti, non c’è.

A Ventimiglia invece possono trovare una piccola rete strutturata, che può offrire loro supporto legale e sociosanitario: le associazioni condividono un'unica sede frazionata in mini-spazi, l'unico luogo in tutta la città ormai dedicato a questo. Di accoglienza non se ne parla, ma nemmeno di docce o bagni chimici. Gli unici a inventarsi le docce portatili sono stati alcuni attivisti creativi di un'associazione, che offre la possibilità di lavarsi in piccole tende posticce sotto il ponte sul fiume Roja. Inutile dire che la scabbia imperversa sovrana, esattamente come avevo già visto in Bosnia lungo la rotta balcanica.

Solo in mattinata sono stati respinti 53 ragazzi, rimandati indietro senza appello, perché non hanno i documenti giusti per provare a vivere in Francia. Si parla di circa 17.000 persone all'anno che transitano per Ventimiglia, alla ricerca di condizioni migliori in un altrove rispetto a casa loro.

Del resto, solo dall'Italia nell'ultimo decennio si stima siano fuggiti circa 1 milione di giovani. Nessuno più di noi dovrebbe comprendere il desiderio di un lavoro migliore, di migliori opportunità, di trovare il proprio spazio nel mondo. Siamo un Paese di migranti economici, anche se ci piace chiamarci “expats” per darci un tono. In realtà non lasciamo nessuno spazio vitale a queste persone, a questi ragazzi, nemmeno per soggiornare e riposarsi: a Ventimiglia non ci sono spazi per lavarsi né angoli di ristoro, se non grazie al buon cuore di volontari o benefattori. Non c’è nemmeno la possibilità di dormire per qualche giorno, nel microspazio delle associazioni è stato ricavato un angolino per un giovane che si è rotto la gamba lungo i binari: può riposare su un materasso per terra sotto un ombrellone da spiaggia. Vedo il suo giaciglio di fortuna nel cortile, attraversando il piccolo ingresso della palazzina, mi colpisce il libro che sta leggendo, tra le cui pagine spunta un segnalibro: Les reves de guerre (I sogni di guerra) di Médéline, un noir francese che probabilmente piacerebbe anche a me. Gli altri bivaccano sdraiati su altri materassi all’esterno della cancellata, ai margini del parcheggio antistante.

Ogni volta che mi imbatto in queste vite sui crinali dei confini del mio Paese, mi chiedo sempre quale fortuna mi abbia fatto nascere con un passaporto forte per viaggiare liberamente in tutto il mondo. Ripenso al Corsaro Nero della mia infanzia e a come lottava contro le ingiustizie subite, insieme alla sua ciurma di filibustieri nei mari dei Caraibi. Tra le placide acque del golfo di Ventimiglia, a pochi chilometri dall’opulenza di Montecarlo, le ingiustizie sono moltissime e l’amarezza traspare dagli occhi tristi dei giovani respinti.

Sara